La rivolta pacifica delle commesse

In 150 a Palazzo Thun per dire no alle aperture domenicali: «Vogliamo vedere i nostri figli. No alle famiglie fantasma»


di Luca Marognoli


TRENTO. Suonano le sirene, sventolano decine di bandiere del sindacato, spiccano cartelli: potremmo essere in mezzo a una curva calcistica durante il derby, se non fosse che tutti sono molto composti e tra i volti degli “spettatori” - che per stasera hanno deciso di giocarsi la propria partita da protagonisti, davanti alle telecamere e ai taccuini dei cronisti - ci sono quelli di tante donne, commesse di negozi sportivi, cassiere di supermercati, venditrici di calzature. Per la gran parte di loro quello di oggi contro le domeniche è il primo sciopero, come dichiara con una certa emozione Yayoi Nakanishi, di Pittarello, che invita a pensare a nuove formule come quella adottata da Ikea a Lugano che chiude la domenica ma apre il giovedì fino alle 21. Si sono dati appuntamento davanti a Palazzo Thun, poco prima che si riunisca il consiglio comunale, e alcuni politici si fermano a solidarizzare: ci sono Porta di Rifondazione, Giuliani e Bridi della Lega, Cia della Civica e Coppola dei Verdi. Tra i gruppi più numerosi quello di Cisalfa (Trento e Rovereto) e Longoni, che fanno capo ad un unica società di articoli sportivi: sono una ventina almeno, «incazzati - dice Menny Santana - perché la domenica vogliamo stare con i figli e non avere delle famiglie fantasma». E’ questo il tasto su cui insistono di più: il diritto a stare con i propri cari la domenica, che a loro, accusano, viene negato. «L’altro giorno non sono potuto andare alla prima partita di basket di mio figlio, che ha 6 anni», si infuria Menny. E nemmeno gli incassi - dicono in coro i manifestanti - giustificano l’estensione domenicale: «Sono spalmati durante tutta la settimana, non cambia nulla».

Già, perché finora la domenica di gente nei negozi se n’è vista poca: «Venite a vedere a Rovereto - interviene Luca -, la domenica non si trova un bar aperto: di turistico la nostra città non ha niente». Una collega chiede che «allora siano tutti a lavorare, anche gli uffici del Comune». Mentre Susy mette l’accento sulla situazione delle mamme single: «A Pergine le Tagesmutter non hanno posti. Ho calcolato che dovrei pagare 500 euro al mese di baby sitter...». Serena pensa invece al marito: «Mi ha già detto che per stare con me si porterà il divano al negozio». Mirko invece la butta sul sociologico: «Stiamo abituando le famiglie a passare le domeniche nei centri commerciali. Vengono e ti mollano lì i bambini quando potrebbero portarli al parco». Numerosi i dipendenti dei supermercati cittadini: c’è anche una mamma con bimba sulle spalle.

Dalle calzature Pittarello sono arrivati in otto, con tanto di cartello di cartone che recita: “La vita prima del business”. Per Anna Pavana «lavorare la domenica non ha senso: i clienti sono pochi e con i recuperi per noi dipendenti si crea un sovraccarico di lavoro durante la settimana. Potrebbe avere un significato se aumentassero il personale. Ma nessuno lo fa».

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