«La mia vita è rovinata dal gioco»

Giudicariese, di 60 anni, incarichi politici e di responsabilità alle spalle, racconta la sua esperienza e la volontà di uscirne


di Ettore Zini


TIONE. Un’esperienza devastante. Da cui non esci se sei solo. Più che un grido d’aiuto è la voglia di raccontare. Prima di tutto per denunciare che il gioco è un demone da cui tenersi alla larga. Poi, come scrive in una lettera che sarà pubblicata prossimamente nel giornalino della sua Parrocchia, per mettere in guardia chi vive la sua stessa esperienza «a non sminuire la gravità del problema: a non crogiolarsi nel falso convincimento di poter smettere quando si vuole. Ma di confidarsi con le persone vicine, senza timori e paure».

Lui è un giudicariese, di 60 anni. Ha appena terminato un itinerario educativo sul gioco d’azzardo, a Tione, gestito dall’Ama, onlus per il mutuo aiuto. Sta tentando di uscire dalla piaga del gioco, consapevole delle difficoltà da superare. L’intervista, rilasciata in forma anonima, è anche un modo per convincersi che il peggio è passato. Che uscire dal tunnel si può. La sua storia è una delle tante. Ormai troppe. Molto simile a quelle che ha toccato con mano negli incontri con il dottor Paolo Dallago e l’equipe Ama. Dove ha potuto constatare quanto sia diffuso il gioco, anche nei nostri piccoli paesi. Prima della testimonianza, ha autorizzato un breve identikit, per far comprendere che il demone del gioco può prendere chiunque. Da poco in pensione, maturata in un ufficio pubblico, diplomato, ex dirigente di banca, ex fiduciario di un grosso gruppo finanziario, un impegno politico di rilievo negli anni 80. Vive solo. Dopo un’esperienza familiare finita male.

Com’è finito nel vortice? Può raccontare com’è iniziata questa deriva?

Curiosità e noia. La voglia di diverso che rompesse la monotonia del quotidiano. L’inizio come tanti, che si mettono davanti alle macchinette, convinti di vincere. Un passatempo innocente. Di cui ho sottovalutato le disastrose conseguenze economiche, psicologiche e comportamentali.

Quando s’è accorto che il gioco era diventato un vizio difficile da dominare?

Prima solo qualche monetina. Poi, somme più consistenti, nella spasmodica speranza di rifarmi. Ma è stato tutto inutile. Ho passato giornate intere incollato alle slot. Ho perso la cognizione del tempo e della realtà circostante. Ma soprattutto una montagna di soldi. Oltre alla dignità, e alla fiducia in me stesso. Il baratro comincia lì.

Ha quantificato le perdite? Può dire quanti soldi ha lasciato nelle sale da gioco?

Molto più di 40 mila euro. La verità è che il gioco mi ha come ubriacato. Poco importava se le somme giocate erano superiori a quelle vinte. In una giornata ho buttato via anche un mese di pensione: 1.300 euro. Una follia!

E poi?

Tante notti insonni. Il passatempo è diventato un incubo. Mi sono sentito sleale con chi mi vuole bene. Ho avvertito rancore verso me stesso. Contro le macchinette. Un’ossessione, da cui sto cercando di uscire.

Uscire si può? Crede che uscirà da questo incubo?

Chi ha vissuto esperienze analoghe dice che i pericoli di ricaduta sono dietro l’angolo. Che non bisogna abbassare la guardia. Da solo sarà molto difficile. Anche perché ormai si può giocare dappertutto. Ma spero di farcela. Ho cointestato il mio conto di banca a una persona cara. Solo con lei presente posso ritirare i soldi. E questo è un forte deterrente.

Lei molto critico verso le istituzioni. Perché?

Perché devono fare qualcosa. Subito. Devono ritirare i permessi rilasciati e chiudere le sale da gioco. Ci sono troppi interessi. Oggi l’Italia è tutta una Las Vegas. E uno Stato serio non può volere il male dei cittadini. E poi ciò che guadagna lo deve spendere in servizi socio assistenziali. Più che un problema politico è un problema per la sanità pubblica.

Ci siamo conosciuti in tempi migliori, ha detto alla fine. Ma la voglia di uscire c’è e ce la può fare.

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