La “Casa dei turchi” svela a tutti i suoi segreti

Oggi, dopo il rinvio di settembre, visite guidate all’edificio ristrutturato sul Leno A piano terra negozio e caffetteria. Poi tre piani con sette appartamenti lussuosi


di Giancarlo Rudari


ROVERETO. Un lavoro immane per un risultato stupendo. Mesi di lavoro per portare alla luce scantinati dei quali si ignorava l’esistenza; sistemare pavimenti traballanti; ricostruire scale impraticabili; portare alla luce un tratto della roggia Pajari; ridare splendore alle verande in legno finemente lavorate che si aprono verso il castello a strapiombo sul Leno. E’ la Casa dei turchi (per un periodo casa Mona dal cognome della famiglia proprietaria), sul ponte Forbato, il piccolo gioiello che oggi (dopo la falsa partenza del mese scorso) apre le porte alla città. Le apre con visite guidate dalle 10 alle 16 e quindi dalle 17 alle 18.30 l’ inaugurazione e la presentazione pubblica della casa restaurata. Un edificio che nel percorso della sua storia centenaria (probabilmente costruito nel Seicento) ha avuto la fortuna di incontrare Gianni Jacucci che ci ha messo anima e cuore (e soldi, tanti) per strapparla ad un inglorioso destino con la collaborazione dell’architetto Riccardo Falqui Massidda e del padre geometra Renzo.

Sette appartamenti di varie dimensioni dislocati su tre piani («non sono in vendita, ma verranno dati in affitto») oltre ad un negozio e ad una caffetteria a piano terra. Un immobile privato ma con in parte una destinazione per il pubblico come la caffetteria nata dall’idea del Comune per offrire un servizio ai turisti ma anche in vista della realizzazione della cittadella degli uffici attorno al municipio. «Aprire la casa per far vedere come e cosa è stato realizzato - spiega il geometra Falqui Massidda - non è un’operazione commerciale visto che l’immobile è già stato collocato, ma un “omaggio” a tutti quei roveretani (e non solo) che vogliono scoprire un luogo significativo della città». E saranno accontentati oggi i visitatori nel vedere, per limitarsi all’ingresso, il pavimento in cotto fatto a mano, gli elementi in legno (trattati con olii senza vernici) e la pietra restaurati nella loro linea e consistenza. In questi spazi troveranno posto i tavolini che si affacciano sul Leno. Così come ad altri angoli suggestivi destinati alla caffetteria sono stati ricavati negli avvolti dei quali si ignorava l’esistenza si accede attraverso scale in pietra “miracolosamente” ritrovate. E giù ancora fin sotto la roggia Pajari che scorre (intubata) in un tratto della Casa dei turchi.

E si va ancora per scale, strette e ripide (non siamo in un palazzo signorile, ma in un edificio che ospitava operai e artigiani turchi, di qui il nome della casa, fatti arrivare dai veneziani), per salire (ma c’è anche un ascensore) ai piani superiori. Otto gli appartamenti di varie dimensioni con una caratteristica particolare: le stupende verande in legno con la finestra frangisole tipica dell’architettura araba. Ogni pezzo è stato smontato e numerato prima di essere portato in un laboratorio di restauro, rimontato prima in un capannone e poi in loco. Lo sguardo punta sulla mole del castello che sembra di toccar con mano con il “suono” del Leno, che scorre lambendo la casa da secoli, a fare da sottofondo.

Storia, architettura e paesaggio: tre elementi che contraddistinguono la Casa dei turchi tornata a nuova vita. Per sé, ma anche per il quartiere di Santa Maria e la città.

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