La carrozzeria Gildo ripara anche gli elicotteri

L’attività fu intrapresa da Ermenegildo, che iniziò con le carrozze nel 1930 Oggi c’è un forno di tredici metri che permette lavorazioni di veicoli diversi


di Daniele Peretti


TRENTO. Dalle carrozze di nonno Ermenegildo, agli elicotteri dei nipoti Stefano, Marco e Andrea. È questa l'evoluzione della carrozzeria Gildo, nel tempo di tre generazioni. Ermenegildo Rossetto era un carrozziere padovano che nel 1930 fu chiamato a Trento sia per il fatto che era bravo nel suo mestiere, ma anche perché allora in città non c'era nessuno in grado di fare il suo lavoro. «La prima sede il nonno l'ha aperta in via San Bernardino», ricorda il nipote Stefano. «Allora erano più carri che macchine, ma si cominciava a vedere il futuro. Poi ci fu il trasferimento in via Maccani di fronte a quella che era la sede di Anesi. Oggi nell'area dove c'è la Cea Estintori, nel 1953 c'erano due capannoni fatti ad L, speculari. In uno c'era il nonno e nell'altro la sede dei mangimi “Raggio di Sole”. Nel 1983 l'ultimo trasferimento nell'attuale sede del Pioppeto, dove abbiamo messo l'insegna disegnata dal nonno: Gildo, scritto con caratteri che danno l'idea della velocità, colorati di arancione vivo».

Oggi alla carrozzeria Gildo c'è l'unico forno di Trento lungo 13 metri che permette la lavorazione dei camion, ma anche degli elicotteri. In passato da Ermenegildo e Franco è arrivata in città la prima flotta di macchine a noleggio della Savanent. «La caratteristica di papà era quella di vedere lontano e fu così anche con le prime macchine a noleggio di Trento che comportarono l'obbligo dell'utilizzo del computer. Fino ad allora – prosegue Stefano – si faceva tutto a mano e sinceramente anche le fatture: le abbiamo fatte così fino al 2003. Con la gestione della Savanent, iniziava la rivoluzione elettronica su larga scala che stiamo ancora cavalcando».

Nonno Ermenegildo morì nel 1997 ed il figlio Franco nel 2006. Un ricordo del nonno? «Quando ci diceva seriamente – racconta Marco – che il lavoro di carrozzeria è diventato un gioco grazie alla sostituzione dei pezzi. Ai suoi tempi non esistevano i pezzi di ricambio e bisognava ricostruire tutto tagliando la lamiera, utilizzando dei telai in legno costruiti a mano. Lo stesso si doveva fare con la tappezzeria». Mentre del papà? «Abbiamo parlato delle sue intuizioni – ricorda Andrea – ed è stato lui a volere le prime zone prep: si tratta di forni aperti che al bisogno si possono chiudere con delle tende, che hanno delle lampade ad infrarossi a scorrimento per asciugare lo stucco o la base del colore».

Il lavoro più particolare? «Elicotteri a parte, quando abbiamo riparato una Mercedes nera di un cliente di Torino che l'aveva acquistata in Vaticano. Era un regalo fatto al Papa di allora che aveva deciso di venderla».

Come mantenere il ritmo di famiglia? «Bisogna accorciare i tempi di riparazione. Da noi escono 50 macchine alla settimana, senza nessun intervento esterno».













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