L'orrido, un'attrazione da far rivivere

L'accesso al canyon fu costruito ai primi del '900 dalla famiglia Fontanari


Sandra Mattei


TRENTO. A pochi chilometri da Trento, è possibile fare un viaggio a ritroso nel tempo. Quando per raggiungere la città dalla Valsugana, ci si affacciava sulla forra profonda oltre cento metri, quella scavata dal torrente Fersina. Orrido, si chiamava, parola desueta per descrivere ciò che incute paura, un dirupo di cui non si vede il fondo. Generazioni di trentini l'hanno visitato, ma da vent'anni attende la riapertura. La Provincia e l'Ecomuseo ci stanno pensando.

La storia dell'orrido di Ponte Alto affonda nel 1500, all'epoca del principe vescovo Bernardo Clesio, il primo a tentare di imbrigliare la furia delle piene che regolarmente minacciavano la città. Nel 1537 fece realizzare una chiusa in legno, successivamente ricostruita in pietra perché distrutta più volte, fino ai nostri giorni, quando delle due serre si è preso carico l'ufficio Bacini montani della Provincia.

Questo per quanto riguarda la gestione dell'acqua del Fersina, che per via dei lavori di contenimento delle piene, compie due salti spettacolari: il primo sotto il ponte di pietra di Povo di una ventina di metri, il secondo di ben 64 metri. Affacciandosi al ponte, prima di immettersi sulla tangenziale della Valsugana, è possibile vedere il bacino del Fersina, che in passato alimentava la centrale elettrica della Busa. Ma per ammirare l'orrido in tutta la sua bellezza, un canyon di pietra rossa, che sfuma nel rosa e nel bianco, che sprofonda più di cento metri e che sul fondo del torrente non arriva ai dieci di larghezza, l'unico modo era accedere al sentiero, attraverso il giardino del ristorante Ponte Alto.

Chi ha più di trent'anni ricorderà l'emozione di percorrere il camminamento lungo la roccia, per poi arrivare, attraverso una scala a chiocciola scavata nella pietra, ad ammirare la massa d'acqua da un balcone costruito dietro la seconda cascata. Da piccoli l'orrido era una meta fissa e i visitatori arrivavano da tutta Italia ed Europa.  Forse non molti sanno che questa meraviglia della natura si può ammirare (o meglio, si poteva) grazie allo spirito imprenditoriale di una famiglia, i Fontanari, originari di Pergine, che hanno costruito il passaggio all'orrido e l'hanno gestito, facendo pagare l'ingresso, fino al '92. Raccontano questa storia Franca Tomasi e suo marito Marco Gius, coppia che a Trento è molto nota perché gestisce i negozi «biologici» dell'«Origine» e di «Natura Sì».

E' Franca, l'erede dell'orrido, che spiega: «Mio bisnonno Massino Fontanari, nei primi anni del Novecento acquistò la locanda di Ponte Alto, che era un punto di cambio cavalli. Ingrandì il ristorante, che divenne in pochi anni una delle mete più frequentate per le gite fuori porta e capì l'attrattiva delle cascate, che avrebbe potuto essere una meta turistica. E' stato lui a costruire il camminamento e la scala a chiocciola nella roccia, che porta al balcone affacciato sull'orrido. Un'opera ingegneristica che affascina gli addetti ai lavori e sono ancora in tanti a telefonare per vedere le cascate. Il ristorante ha avuto il periodo d'oro tra le due guerre, quando era frequentato dai trentini, ma anche da pullman di gitanti da tutta Italia.

Continuarono nell'impresa del padre, mio nonno Bruno e la sorella Ida, e il ristorante passò poi di mano a mia zia Bice, che lo ha venduto. Mia mamma Bruna ha ereditato la casa a fianco, ma anch'io, fino al '92, ho tenuto la biglietteria e con Marco abbiamo fatto la manutenzione. Ora sono cambiate le norme, dovremmo mettere tutto in sicurezza, con costi che per noi privati sono impossibili. Per questo mi auguro di arrivare ad un accordo con l'ente pubblico, perché l'orrido riapra a tutti».













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