«L’ora di pranzo era un incubo» 

Il caso della settimana. Il racconto di una madre: «Nostra figlia passava direttamente dalla cucina al bagno e noi all’inizio non ce ne siamo nemmeno accorti». Una storia a lieto fine: «Ma per la famiglia è stata una prova durissima»


Andrea Selva


TRENTO. L’incubo si presenta a ora di pranzo (o cena) quando hai una figlia che soffre di anoressia, che non vuole toccare cibo tanto che con il passare dei giorni da sotto la pelle affiorano le ossa, ma quando si guarda allo specchio lei si vede grassa. «Tutto diventa un incubo quando tua figlia dimagrisce a vista d’occhio e non sai cosa fare» aggiunge la madre di una giovane trentina che ha lottato per quasi quattro anni con i disturbi alimentari, passando anche attraverso un ricovero ospedaliero. È la madre di questa ragazza (chiedendo l’anonimato per tutelare la figlia che è ancora in giovane età) a raccontare questa storia in vista della giornata nazionale contro i disturbi alimentari (domani): «È la storia di nostra figlia, ma in realtà è la storia di tutta una famiglia che ha sofferto molto, ma è riuscita a fare squadra per affrontare e superare il problema».

Dalla cucina al bagno.

«Il primo campanello d’allarme è stato quando nostra figlia, all’epoca sedicenne, ha cominciato a passare dalla cucina (dove mangiava pochissimo) al bagno (dove si rifugiava per vomitare). E noi purtroppo non ce ne siamo accorti subito. I primi episodi si sono verificati a Natale, ma solo con l’arrivo dell’estate abbiamo chiesto aiuto, anche grazie a un giovane medico di base che ha riconosciuto il problema e ci ha portati subito nella direzione giusta».

Non era un capriccio.

«Si tratta di situazioni in grado di mettere a dura prova una famiglia: noi genitori eravamo sconvolti e siamo stati coinvolti nelle cure di nostra figlia. Non è un percorso facile: parlare della malattia è difficile e doloroso, avevamo da due a quattro incontri a settimana. Nostra figlia viveva prigioniera di un pensiero ossessivo: i pasti erano un incubo, ma in realtà pensava a tutto il giorno a come evitare il cibo. Abbiamo pensato che fosse un capriccio, un’ostinazione estetica per rispettare i canoni imposti dal mondo della moda. Solo in seguito abbiamo capito la portata di questo disturbo che è fisico ma anche psichico e riguarda la fatica di crescere, accettare il mondo e la ricerca di un proprio spazio e della propria identità, vivendo emozioni positive ma soprattutto negative, che devono essere accettate senza rimanerne travolti.

La svolta.

La madre di questa ragazza ricorda il giorno della svolta, quando la giovane - per la prima volta - ha rivelato alla madre di averla vista davvero provata: «Si è resa conto di quello che stava succedendo attorno a lei ed è stato l’inizio del ritorno nel mondo reale». A distanza di anni la malattia non è più una minaccia: «Ci hanno spiegato che nel caso delle ragazze giovani, quando si interviene tempestivamente, i disturbi alimentari possono essere sconfitti. Per nostra figlia è stata la liberazione da una prigione di finte certezze, di finto controllo sul mondo. Perché ne abbiamo voluto parlare pubblicamente? Perché si tratta di un male sempre più diffuso in questo mondo sempre più superficiale e spaventoso e per guarire serve lo sforzo di tutti».

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