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L’autunno caldo dell’industria trentina

Dopo Whirlpool anche Gallox, con i suoi 110 dipendenti, rischia di chiudere e i 348 lavoratori di Pama sperano nella ripresa


di Luca Pianesi


TRENTO. Non solo Whirlpool: la crisi industriale ed economica del Trentino non si arresta e se alcuni settori (come quello tecnologico, delle imprese che impiegano personale altamente specializzato e di quelle che si dedicano all’export) tengono e in alcuni casi fanno registrare anche positivi segnali di crescita, ci sono altri reparti (su tutti quello edilizio e delle grandi industrie a basso valore aggiunto) che restano in profonda difficoltà. E così se ieri si è fermata la produzione dello stabilimento di Spini di Gardolo della Whirlpool e 500 dipendenti si sono ritrovati senza lavoro, a Rovereto altri 110 lavoratori rischiano di perdere il loro posto alla Gallox (azienda che si occupa di verniciature industriali). Per loro il 27 novembre termineranno gli ultimi 6 mesi di cassa integrazione straordinaria e anche se i sindacati non si arrendono e promettono battaglia parrebbero restare ben pochi margini per la trattativa.

E poi c’è la Ariston di Trento che è riuscita a uscire dalle secche della crisi solo riducendo in maniera drastica l’organico (passando da 90 dipendenti a 45) e la Subaru Italia che ha preferito abbandonare il Trentino trasferendosi a Milano lasciando ai suoi 45 lavoratori la scelta se rinunciare al posto o trasferirsi in Lombardia. Sotto osservazione (ma con molte più speranze di rilancio) c’è, poi, la Pama di Rovereto che produce grandi strumenti, come frese e alesatrici, per grandi macchinari. Per i 348 lavoratori, infatti, è cominciato il secondo anno di contratto di solidarietà, ma le ragioni del calo dei fatturati sembrano risiedere in un effetto ritardato della crisi (nel 2011 l’azienda aveva fatto registrare il record positivo di fatturato). La sede gemella, di Brescia, ha già ripreso a crescere e anche per quella di Rovereto sembra solo una questione di tempo.

Senza fine, invece, il vortice che dall’inizio della crisi sta inghiottendo l’edilizia trentina con tutto l’indotto che ne deriva (dagli impiantisti ai falegnami, dalle aziende che producono tetti a quelle che fanno pavimenti). «Prima della crisi in provincia si contavano più di 18 mila lavoratori impiegati solo nel settore edilizio - spiega Maurizio Zabbeni segretario della Fillea Cgil - e oggi ce ne sono circa 11 mila. Dal 2008 abbiamo perso il 40% di occupati e anche quest’anno c’è stata un’ulteriore contrazione. A giugno di quest’anno abbiamo registrato l’11% in meno di occupati rispetto allo stesso periodo del 2013 con un meno 13% di ore lavorate. Il che si traduce in un crollo del 17% del numero delle imprese da prima della crisi».

Un collasso che Zabbeni definisce strutturale «anche perché - commenta - in passato il mercato è stato eccessivamente gonfiato da speculazioni e esagerati finanziamenti pubblici che hanno permesso ad imprese improduttive e destrutturate di vivere di rendita. Oggi - conclude il sindacalista - per il settore servirebbe un’idea di politica industriale che parta dalla riqualificazione del patrimonio esistente e dalla ristrutturazione dalle strutture pubbliche partendo dal nostro petrolio, il legno. Questa è la nostra vera risorsa in campo edilizio e potremmo diventare leader dell’industria dei prefabbricati e delle costruzioni ecocompatibili e antisismiche». Il rilancio dell’edilizia, dunque, potrebbe ripartire dall’innovazione. E anche sul piano industriale sono tanti gli esempi di imprese trentine in crescita e che riescono ad assumere, anche in questo periodo di stagnazione.

«Non c’è una ricetta contro la crisi - spiega Michele Guarda della Fiom Cgil - ma si può dire che chi cresce sono le aziende che impiegano personale altamente specializzato come la Sicor di Rovereto che produce sistemi di trazione per ascensori. Loro sono passati dall’avere 80 dipendenti agli attuali 150. Poi ci sono quelle che esportano molto soprattutto, verso i paesi in crescita, come la Mcs di Ala che produce prodotti per la panificazione. E in crescita, grazie alle esportazioni, è anche tutto il settore della meccanica di precisione. Tra questi la Opt di Calliano, che produce lettini ospedalieri, a un passo dal tracollo fino a poco tempo fa, dopo aver venduto a una multinazionale giapponese s’è inserita nel canale giusto delle esportazioni ed oggi è in netta ripresa». La crisi, quindi, a livello industriale miete vittime soprattutto tra le imprese che restano agganciate solo a un mercato interno che non esportano o che si affidano (come Whirlpool o Subaru) a sistemi di produzione che con facilità possono essere riprodotti in altri luoghi.

«Un settore, infine che sembra non conoscere crisi - conclude Guarda - è quello legato alle tecnologie e all’informatica. Si pensi a Dedagroup Ict di Spini che oggi segna 1.500 dipendenti sparsi in tutto il mondo o Delta Informatica di Trento che è passata da 0 a 80 dipendenti in pochissimo tempo».













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