il caso

«Itas, scorribande nei negozi per 1,5 milioni di euro»

La compagnia canta vittoria dopo la sentenza della Corte d’appello su Alessandra Gnesetti: riconosciute le nostre ragioni



TRENTO. Itas parte al contrattacco. Dopo la sentenza della Corte d’appello di Trento che riconosce ad Alessandra Gnesetti un risarcimento pari a 22 mensilità ritenendo che non sussistesse la giusta causa del licenziamento dell’ex funzionaria, ma il giustificato motivo soggettivo, la compagnia tramite il suo legale spara a zero contro l’ex dipendente che con le sue parole ha fatto partire l’inchiesta della Procura per appropriazione indebita, calunnia, truffa e falso nei confronti dell’ex direttore generale Ermanno Grassi, della stessa Alessandra Gnesetti, dell’ormai ex direttore finanza di Itas Paolo Gatti e dei rappresentanti di due aziende fornitrici di Itas.

L’avvocato Marcello Pedrazzoli, che ha rappresentato Itas nella causa di lavoro ha preso carta e penna per precisare i dettagli della causa e poi ha allegato anche la lettera di licenziamento della Gnesetti, datat5a 29 maggio 2015. L’avvocato spiega: «Ormai tre giudici, in un anno e mezzo, hanno riconosciuto con sentenza che le ragioni del licenziamento ci sono eccome, ed è quindi vero quanto esposto dalla società: ad esempio che nel solo 2013, durante le sue scorribande in negozi di lusso, a Trento, Verona e Udine, la signora Gnesetti abbia acquisito beni che sono costati a Itas, pagatore unico e ingannato, ben 388.975 euro».

Pedrazzoli fa notare che nella lettera di licenziamento si quantifica in 380.502 euro una simile appropriazione addebitata sempre alla Gnesetti per il 2012. Sempre nella lettera di licenziamento, che ha toni molto duri, si spiega che «il pregiudizio subito dall’azienda per le sue incontenibili scorribande nei negozi di lusso si può determinare in una cifra sicuramente superiore a 1,200.000 euro, e forse vicina al milione e mezzo». Per questo, la lettera si conclude con il licenziamento in tronco. Nella lettera si aggiungono accuse dure: «Né possono avere alcun rilievo le accuse, spesso false, con cui dissemina veleni tutt’intorno per coinvolgere altri collaboratori dell’azienda, in ispecie il direttore generale».

Da notare, però, che la lettera è firmata proprio dal direttore generale Ermanno Grassi. Quello che stesso direttore generale al quale la Procura di Trento contesta il reato di appropriazione indebita proprio per quei 388 mila euro relativi al 2013. Soldi che Itas continua a contestare alla sola Gnesetti, mentre per la Procura l’appropriazione costituita dall’acquisto con soldi della compagnia di beni di lusso.

L’avvocato Pedrazzoli poi spiega la sentenza della Corte d’appello: «La Corte ha ridisposto, ferma la legittimità del licenziamento, le indennità di preavviso e per la tardiva contestazione, accrescendo quest’ultima da 8 a 12 mensilità». L’avvocato spiega che il licenziamento non poteva essere per giusta causa, ma per giustificato motivo soggettivo perché «le evidenti malefatte erano conosciute dalla società già da un anno».













Scuola & Ricerca

In primo piano