«Io bancario andato a costruire case tra i terremotati»

Il quadernetto blu di Lorenzo Detassis: «Quindici mesi di solidarietà, ogni fine settimana, con i volontari trentini»


di Paolo Tessadri


TRENTO. I ricordi del terremoto del Friuli Venezia Giulia sono custoditi nel vecchio quadernetto blu di 40 anni fa. Meticoloso come un perfetto bancario, Lorenzo Detassis di Trento ha conservato tutto: dentro quel quadernetto si leggono i nomi per i turni di lavoro a Moggio Udinese dopo il terremoto. “Si partiva il sabato mattina alle 4 e si ritornava a Trento a mezzanotte della domenica”, dal 16 ottobre 1976 a tutto il 1977. Quindici mesi di solidarietà in quel piccolo comune di poco più di duemila anime, cercando di portare aiuto in quelle numerose frazioni sparse sulle montagne della Val Aupa. La prima volta erano in cinque, poi i volontari salirono a una trentina ogni fine settimana. Si andò avanti così per 720 giornate lavorative. Il sindaco Carlo Treu teneva i contatti con tutti i volontari, affidava i compiti e faceva trovare pronto il legname per costruire le casette. Martello e chiodi nella borsa attrezzi da muratore, stretta alla cintola dei pantaloni. Molti avevano ancora le brache di velluto alla zuava. Calzettoni pesanti e scarponi da montagna: quell’ottobre era già freddo e bisognava coprirsi.

Il primo approccio fu disarmante: molte case erano crollate, lesionate quelle poche rimaste in piedi, inagibile l’80 per cento delle abitazioni, compresi i fienili.

Detassis scorre con un dito i numerosi nomi scritti sul quaderno blu dei ricordi: Giancarlo Zuntini, Marco Fronza, Ottone Tamanini, Marco Pasqualini, Luciano Frizzera, Gianluigi Lutteri, Fulvio Zobele, Romano Rossi, Dina Carbonari, Daniela Beuzer…

Il Comitato Friuli della Bolghera. Il Comitato Friuli, così si erano soprannominati, era nato in seno alla parrocchia di S.Antonio nel quartiere della Bolghera a Trento. La Diocesi di Trento, come molte altre diocesi italiane, aveva deciso di gemellarsi con un comune friulano e aveva smosso le parrocchie trentine a darsi da fare. Risposero più di 300 parrocchie. Il comune prescelto fu Moggio Udinese, non solo da parte della parrocchia della Bolghera. Su Moggio confluirono più di 600 volontari trentini da diverse paesi e città.

“Decidemmo di aspettare dopo la prima scossa del 6 maggio, gli interventi riguardavano i primi soccorsi alla popolazione, ma dopo le ulteriori due scosse di settembre capimmo che il morale dei friulani era a terra, la situazione si era molto aggravata e ci organizzammo. La zona della Val Aupa non era certo ricca, un’economia di montagna, quasi di sopravvivenza: spesso mi sono chiesto di che cosa vivessero! C’erano tutti questi villaggi di poche case, ognuno abitato da meno di duecento persone”, ricorda. I nomi sono ancora vividi: Grauzaria, Ovedasso, Dordolla. La gente di montagna si capisce al volo e Detassis ricorda i primi approcci: “Molti erano anziani, aiutavamo soprattutto loro e abbiamo instaurato un’amicizia profonda. Gente genuina, ‘de na volta’, come si vedevano nelle valli trentine. Tipi tosti. Loro, a volte cucinavano e poi costruivamo la loro casetta”. Lui che faceva il bancario, di martello, sega e chiodi se ne intendeva davvero poco, come molti dei 50 volontari della parrocchia. “Eppure nessuno si è fatto male, neanche un incidente. Abbiamo avuto una grossa fortuna”. Detassis ha ancora il progettino delle casette in legno. Anche la raccolta fondi non andò male, sei milioni di vecchie lire nel 1977 erano una bella cifretta.

Abbiamo tanto bisogno d’aiuto. La richiesta di aiuto arriva anche per lettera. Lucia Bulfon, da Bibione dove era riparata, scriveva a Detassis: “Abbiamo tanto bisogno del vostro aiuto in quanto non abbiamo nessuno per dare una mano per la scomodità della località (Mulin) e le difficoltà di organizzare la costruzione. Abbiamo pensato ad una baracca 7x5”. “Domenica è stata impartita la benedizione alla mia nuova dimora, erano presenti anche i trentini. La prima notte non chiusi occhio forse per la commozione. Il parroco mi chiese chi ha fatto questo bel lavoro, io dissi i trentini. Ho passato tanto dolore. Dalla finestra osservo il panorama con le piante e tutto coperto di neve. Fuori è freddo e si trema”, annota l’anziana Elena. “Sono stata tanto sofferente con il fisico per il dispiacere subito. Per il mio cuore è stato grave, ero del tutto scoraggiata”, scrive un’altra signora anziana, che chiede di ringraziare l’ingegner Giancarlo Zuntini, “che mi mandò un bellissimo regalo scelto dalla sua moglie” e ringrazia anche la “vedova da 9 anni che ha tanto lavorato senza mai lagnarsi di pioggia neve e freddo, le renda per piacere un mio grato grazie”, scrive un’altra donna.

Gottardi cittadino onorario di Moggio.

La risposta dei friulani non si fece attendere, organizzarono una grande festa per “il saluto di Moggio agli ospiti trentini. Oltre 600 trentini rappresentanti le parrocchie gemellate hanno raggiunto Moggio Udinese. L’arrivo dei trentini è stato salutato dal suono dell’unica campana dissepolta dalle macerie”. La festa si tenne a Ovedasso: sindaco e giunta aspettarono i trentini sul piazzale della chiesa distrutta. Alessandro Maria Gottardi, allora vescovo di Trento, fu tra i maggiori sostenitori dell’intervento a Moggio. A lui e al direttore della Caritas trentina, don Tullio Endrizzi, il comune friulano assegnò la cittadinanza onoraria.

Lorenzo Detassis, allora, aveva 36 anni e due figli. Significava “rubare” tempo alla famiglia. Quell’esperienza segnò anche la vita del quartiere della Bolghera. “C’è stata una ricaduta molto positiva sulla comunità. La solidarietà data alla popolazione friuliana ci fu restituita. Cominciarono i campeggi per le famiglie, ci fu più coesione sociale”. La solidarietà è contagiosa: molti di quei 50 volontari della parrocchia della S. Antonio della Bolghera di Trento andarono a prestare soccorso in Irpinia nel 1980.

I Mille, intanto, erano tornati a casa: il lavoro era finito.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano