Il Rosmini in cerca di un futuro

Ora Parrocchia di S.Marco, Comune e Murialdo cercano nuove strade per ripopolarlo di giovani


di Giuliano Lott


ROVERETO. Come oggi, nel 1912, monsignor Celestino Endrici, arcivescovo di Trento, inaugurava il nuovissimo Oratorio Rosmini in via Paganini. Una conquista per le molte famiglie che avevano contribuito, di tasca loro o prestando la propria opera, alla costruzione del grande palazzo durata poco più di un anno, come rammenta il decano don Sergio Nicolli. Tempi rapidissimi, se paragonati a quelli attuali. E ieri, nel seminterrato dell’Oratorio Rosmini, c’erano molti vecchi frequentatori a salutare l’evento, festeggiato con molta sobrietà. C’era ad esempio Guido Vettorazzo, oggi novantunenne, c’era Sergio Nuvoli, oggi custode del Museo della Cartolina di Isera. C’era anche l’ingegner Guido Tomasi, che ha dedicato tutta la sua gioventù e buona parte del suo tempo libero all’oratorio. «La prima volta che sono arrivato qui avevo 10 anni. Ricordo che, qualche anno dopo, toccava a me mettere i timbri presenze sulle “pagelline” della catechesi: i più assidui avevano diritto al cinema gratis, le proiezioni si facevano nel teatro qui a fianco. Una domenica feci la bellezza di cinquecento timbri. Cinquecento ragazzi e bambini che venivano qui in un solo giorno». Anche monsignor Valentino Felicetti storico ex decano di Rovereto, ha vissuto a lungo al Rosmini. «Cinquant’anni fa ero un giovane prete e appena arrivato rimasi colpito dalla straordinaria frequentazione, questo luogo era il punto di riferimento per centinaia di giovani».

L’Oratorio, durante il Ventennio, fu una roccaforte antifascista. «In quegli anni o eri dentro o fuori, e io ero contento di essere dentro». Nel 1931 però un centinaio tra giovani fascisti e camice nere armatti di «randelli colossali», dicono le cronache dell’epoca, occuparono con la violenza l’Oratorio. Malgrado i Patti Lateranensi freschi di firma, allora tra fascisti e cattolici non correva buon sangue. Pur “liberato” dopo alcuni giorni, il Rosmini quell’anno rimase chiuso fino a settembre. Alcune foto documentano gli sfregi sulle porte e le scritte inneggianti al Duce.

Dagli anni Cinquanta l’attività dell’oratorio fu per molti equiparata «a una seconda famiglia» ha raccontato il sindaco Andrea Miorandi: «Qui c’era la sensazione di essere a casa propria». L’imperfetto è d’obbligo, perchè ora ci si interroga su come restituire l’Oratorio alla sua centralità rispetto ai giovani, in un contesto molto diverso dall’“epoca d’oro”. Il protocollo con il Comune e la Comunità Murialdo non è stato rinnovato «perchè in questi tre anni i risultati sono stati inferiori alle attese. E’ mancato soprattutto il volontariato degli adulti, la partecipazione delle famiglie, che una volta c’era» spiega don Nicolli.

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