Il perito dell’alluvione ligure per la tragedia di Dimaro 

L’incidente probatorio. Ranzi chiamato dalla famiglia di Michela Ramponi. Nuovi quesiti per i periti  che dovranno anche valutare l’“evento Vaia”. E il camping ha chiesto di poter far parte delle verifiche



Trento. Ci sarà anche Roberto Ranzi, dell’università di Brescia fra i tecnici che seguiranno l’incidente probatorio per ricostruire il disastro di Dimaro, quella colata di fango e detriti che nella notte fra il 29 e il 30 ottobre di un anno fa, uccise Michela Ramponi. E distrusse una parte del paese. Un nome pesante quello di Ranzi chiamato dall’avvocato Paolo Chiariello che rappresenta il marito di Michela in questo procedimento. Era stato lui infatti il perito chiamato dal giudice per l’alluvione di Sestri Ponente del 2010. Seguirà quindi i lavori del perito che è stato nominato dal giudice, l’ingegner Andrea Gianasso del Politecnico di Torino, assieme agli altri esperti nominati dalle parti. L’unico che è stato “dichiarato” nell’udienza di ieri è il professore emerito Aronne Armanini dell’università di Trento chiamato dall’avvocato Busana che difende il dirigente del Servizio Bacini Montani, Roberto Coali. I legali degli altri indagati - che sono l’allora dirigente protempore della Protezione civile Stefano Devigili, il sindaco di Dimaro Andrea Lazzaroni e l’ingegner Silvia Franceschi - si sono riservati di comunicare i loro tecnici.

Quesito su Vaia

Nell’udienza di ieri l’iniziale quesito - doppio - presentato inizialmente per l’incidente probatorio, è stato arricchito da altre due domande. Una è stata decisa dal giudice (Marco La Ganga) è verte sulla connessione diretta fra le eventuali condotte colpose degli indagati e quello che è successo. L’altra è stata richiesta dall’avvocato Bertuol, difensore di De Vigili. E riguarda il “caso Vaia” in sé e quindi un’analisi dell’evento meteorologico eccezionale. Le due domande iniziali chiedevano al perito di verificare se, in base alla miglior scienza ed esperienza, sarebbe stato possibile predisporre un sistema di opere a difesa dell’abitato di Dimaro che, in occasione della tempesta Vaia, avrebbe potuto impedire la frana che ha portato all’esondazione del rio Rotian o, comunque, avrebbe incanalato l’esondazione in modo tale da renderla non pericolosa per le persone che abitavano in zona e nell’area di via Gole. Al perito, per questo, si chiede di stabilire se l’evento frana era prevedibile oppure no. Le singole domande daranno quindi ora forma al quesito definitivo e complessivo.

Il campeggio

Ieri si è presentato anche il legale che rappresenta gli interessi del Campeggio Dolomiti, la struttura ricettiva che è stata distrutta dall’esondazione del rio Rotian, chiedendo di poter partecipare all’incidente probatorio lamentando pesanti danni. Danni per i quali il consiglio provinciale ha approvato un’apposita legge (era la fine di settembre) che prevede 12,6 milioni di euro di risarcimento alla “zona rossa” di Dimaro. E che riguarda quindi il campeggio, due immobili (uno dei due, quello della famiglia di Michela Ramponi, morta durante l’esondazione) e di terreni agricoli, che appartengono a più persone.

Gli indagati

Le indagini coordinate dal sostituto procuratore Carmine Russo sulla tragedia di Dimaro, hanno portato all’individuazione (è bene evidenziare che siamo in una fase assolutamente preliminare) di quattro indagati. Ossia il dirigente del servizio bacini montani, Roberto Coali, dell’ingegner Silvia Franceschi, del sindaco di Dimaro Andrea Lazzaroni e dell’allora dirigente pro tempore del dipartimento protezione civile della Provincia Stefano Devigili. Ai primi due vengono contestati i reati di frana colposa e di omicidio colposo, accusa quest’ultima che è stata avanzata anche nei confronti di Lazzaroni e Devigili.













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