Il«miracolo» dell’Ail: 2,8 milioni agli ospedali 

Volontariato. Così l’associazione negli ultimi 15 anni ha sostenuto la sanità pubblica  Il presidente Roberto Valcanover: «Un successo che è merito di tante persone sul territorio» 


Andrea Selva


Trento. Li avete incontrati in piazza sotto un gazebo, agli angoli delle strade, fuori dalle chiese o alle feste del paese. Li avete visti vendere stelle di Natale (a dicembre) oppure uova di Pasqua (in primavera), magari avete partecipato alla Pedalata per la vita di Pergine oppure alla BondonAil, la ciaspolata che viene organizzata in inverno sul Monte Bondone, eventi che richiamano migliaia di persone. Quello che però non sapevate è che i volontari dell’Ail, cioè l’Associazione italiana contro le leucemie, negli ultimi 15 anni, hanno donato alla sanità pubblica 2,8 milioni di euro. Che non è esattamente una cifra facilissima da mettere insieme vendendo fiori e cioccolata (che loro hanno comunque pagato) lungo le strade oppure organizzando grandi eventi per beneficenza.

Il supporto alla sanità

Qui non si solo tratta di regalare giocattoli o libri al reparto di pediatria (che comunque servono sempre). Basta dare un’occhiata all’ultimo verbale dell’azienda sanitaria che periodicamente pubblica le donazioni che riceve dalle aziende, dai privati e soprattutto dalle associazioni di volontariato come l’Ail: solo negli ultimi mesi l’associazione trentina ha donato attrezzature per oltre 11 mila euro al reparto di ematologia; altri 20 mila euro per un progetto di formazione del servizio di immunoematologia e trasfusione; 16 mila euro per un altro progetto di formazione di pediatria del Santa Chiara. E sono solo le ultime donazioni di una lunga serie, visto che l’azienda sanitaria di Trento ha ricevuto negli ultimi 15 anni circa 1,5 milioni di euro a cui si aggiunge oltre 1 milione di euro donato all’azienda sanitaria di Padova e altri 250 mila euro divisi tra Bolzano e Genova, che pure si occupano dei pazienti trentini che soffrono di leucemia. Le donazioni dell’Ail erano tanto generose che era un peccato finissero in progetti slegati l’uno dall’altro e alla fine l’associazione trentina nel 2016 ha firmato una convenzione con l’azienda sanitaria da 540 mila euro. C’è un nuova sezione del reparto di pediatria del Santa Chiara che è merito di questi volontari. Per non dire delle borse di studio (tantissime), dei progetti di consulenza psicologica a favore delle famiglie che hanno a che fare con la leucemia.

Il segreto della generosità

Per capire come si fa a raccogliere quasi 3 milioni di euro a favore della sanità e della ricerca, abbiamo chiesto aiuto a Roberto Valcanover, di Pergine, che dell’Ail Trentino è l’appassionato presidente: «Le parole d’orine - ha detto - sono organizzazione e trasparenza. E poi bisogna dire che sul territorio trentino abbiamo buoni alleati: gli alpini, i vigili del fuoco e tante altre associazioni che purtroppo non posso citare tutte, che ci danno una mano nella gestione delle nostre iniziative. E poi tanto impegno, perché, personalmente, posso dire che tra mattina e sera, fuori dall’orario di lavoro, dedico ogni giorno cinque o sei ore all’Ail e so che anche gli altri membri del consiglio fanno lo stesso con entusiasmo. E questa (entusiasmo) è la terza parola d’ordine assieme a un altro elemento fondamentale: la fiducia che la gente ha in noi. E comunque facciamo le cose per bene, esattamente come un’azienda perché in ballo ci sono i soldi (e la fiducia) dei trentini, non c’è proprio da scherzare». I soci effettivi dell’Ail sono una settantina e poi ci sono 600 volontari sul territorio provinciale, oltre alle altre associazioni che danno il loro contributo.

I progetti futuri

Sul fronte dell’assistenza alle famiglie Ail (grazie a un benefattore, Paolo Mattedi, che ha lasciato la sua casa in eredità all’associazione) ha da poco inaugurato Casa Ail, per le attività dell’associazione e per i malati che hanno bisogno di un supporto logistico a Trento. Tra gli obiettivi futuri dell’associazione c’è il settore delle cure domiciliari: «Con l’obiettivo di portare il medico a casa invece che il paziente in ospedale» conclude Valcanover.













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