Il messaggio di Bressan: «La pace parta da noi»

Oltre duecento persone alla marcia, seguita dalla veglia di preghiera in Duomo Le testimonianza di due suore trentine da 20 anni nella Turchia musulmana


di Luca Marognoli


TRENTO. La fraternità, tema della 47/ma Giornata mondiale della pace, deve cominciare da noi e tradursi in testimonianza quotidiana. Questo concetto è stato al centro della veglia di preghiera per la pace in Duomo, presieduta dall’arcivescovo Luigi Bressan ieri sera, alle 18, e seguita alla marcia della pace che aveva visto la partecipazione di oltre 200 cittadini, in cammino silenzioso dalla sala della cooperazione alla cattedrale. «Dobbiamo impostare la nostra vita come un servizio», ha detto l’arcivescovo ai fedeli, sottolineando l’importanza di una fraternità «attiva», dove ciascuno faccia la propria parte per portare la pace, a partire dalla famiglia, primo luogo di condivisione.

Le testimonianze di chi lavora per la pace, il silenzio della marcia con le fiaccole accese, e la preghiera in Duomo: tre momenti che hanno scandito, come tradizione, il primo giorno dell’anno nella Diocesi di Trento. A dare l’avvio al pomeriggio le parole di don Rodolfo Pizzolli, alla guida della pastorale sociale, giustizia e pace, custodia del creato, che ha iniziato la sua riflessione dalle parole di Papa Francesco: “Fraternità, fondamento e via per la pace”. «Dobbiamo recuperare questo messaggio in tutti gli aspetti della nostra vita: dal sociale, al lavoro, fino all’economia», ha detto, ricordando i quasi 20 anni di collaborazione fra il Trentino e la Locride nella lotta per la legalità avviata nel 1994 da monsignor Bregantini. Don Pizzolli ha anche fatto un riferimento internazionale, citando la lettera che Gregorio III, patriarca greco-cattolico della Siria, ha inviato alla parrocchia di Sant’Apollinare per richiamare l’attenzione di tutti sulle vicende di quel Paese, sconvolto dalla guerra.

Un tema ripreso dal primo relatore Mirko Sossai, responsabile del settore emarginazione e senza tetto della Comunità di Sant’Egidio, sezione di Padova. L’impegno della Comunità - ha affermato - è concentrato nella risoluzione dei conflitti in diversi Paesi del mondo e nella diffusione di una cultura della pace, nello “spirito di Assisi” del 1986. Sossai ha ricordato le parole del papa polacco Wojtyla («La guerra è un’avventura senza ritorno») e di quello argentino Bergoglio («Riscoprite il fratello in quello che considerate un nemico»). Solo il dialogo può portare alla pace, che «non è semplicemente assenza di ostilità, ma un valore che va costruito giorno per giorno e va preservato», ha detto Sossai. «Alla globalizzazione dell’indifferenza denunciata da Papa Francesco va sostituita la globalizzazione della solidarietà».

La platea ha seguito con grande attenzione il racconto di Isabella Sartori e Serena Vanzetta, della Fraternità Gesù Risorto di Tavodo, che dal 1994 vivono a Konya, in Turchia, centro che dista 200 chilometri dalla Cappadocia, la terra dei martiri anauniesi Sisinio, Martirio e Alessandro. Quando arrivarono per celebrare i 1600 anni del martirio dei loro corregionali, la città contava 1 milione di abitanti, ma i cristiani erano solo tre e oggi sono scesi a zero. Tuttavia la presenza delle due suore trentine è stato un seme di pace, grazie anche al cartello appeso all’ingresso della chiesa di San Paolo, affidata alle loro cure: “Dio è amore”. Le religiose accolgono i pellegrini, pregano in tutte le lingue e dopo la guerra in Iraq hanno accolto centinaia di profughi. Con la collaborazione di alcuni docenti di teologia islamica, hanno intessuto un rapporto con gli studenti. «Conoscersi - dicono - è la prima via per non vedersi nemici». Assieme a una coppia di vicini musulmani hanno pregato perché avessero un bimbo e ora il piccolo Mehmet va spesso a trovarle.

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