Il granaio dei romani in riva all’Adige

Portato alla luce un edificio rurale utilizzato come deposito vicino ad un porto. Trovata anche una statuetta di Mercurio


di Giancarlo Rudari


ROVERETO. Forse il bello deve ancora essere scoperto. Eppure è già bello (e soprattutto interessante) di per sé il complesso edilizio di epoca romana portato alla luce al Navicello. Lì, a pochi passi dall’Adige, tra il secondo e il quarto secolo dopo Cristo, si trovava una grande costruzione rurale legata allo sfruttamento agricolo del territorio e agli scambi commerciali. Perché, da quanto gli archeologi hanno potuto capire sulla base dei ritrovamenti, parte dell’edificio veniva utilizzato per la lavorazione di derrate alimentari e parte per lo stoccaggio in quantità non indifferenti. Insomma non è difficile ritenere che quello fosse un granaio romano e un antico deposito probabilmente di un porto fluviale sull’Adige. Di abitazioni ancora non si parla. Ma interessanti ritrovamenti fanno ritenere che siano ancora nascoste sotto metri di terra, tutte da scoprire e da portare alla luce.

Al momento, come spiega Lorenza Endrizzi, funzionario archeologa della Soprintendenza beni archeologici della Provincia, sono venuti alla luce, oltre alle fondamenta e alla pavimentazione del complesso rurale, sono stati trovati resti carbonizzati (a causa di un incendio) di frumento, miglio, lenticchie e legumi. Ma, forse ancora più interessanti, un bronzetto di Mercurio (divinità protettrice dei commercianti), un calamaio in bronzo, un coltellino a serramanico in ferro con impugnatura in osso, fibule a tenaglia in bronzo e alcune monete. Materiale che verrà analizzato per “raccontare” la storia del sito romano del Navicello venuto alla luce durante gli scavi (i lavori ora sono interrotti) per l’ impianto di trattamento dei rifiuti organici.

«Ci troviamo difronte ad un complesso con una planimetria semplice: un cortile scoperto con un porticato attorno al quale si aprivano i vani uno dietro l’altro - spiega Endrizzi - Vani non per uso abitativo ma di lavoro, di servizio e di deposito. Con una particolarità: come si nota dalla pavimentazione in cotto era presente un hypocaustum, ovvero un sistema di riscaldamento usato nell’antica Roma consistente nella circolazione di aria calda (alimentata da un grande forno chiamato praefomium) entro cavità poste nel pavimento. Questo corridoio aveva la funzione di essicatoio per mantenere più a lungo frumento e legumi evitando così la formazione di muffe. E ciò ci porta a pensare che si trattasse di un deposito per derrate alimentare in grande quantità destinate al commercio».

Sassi di fiume, malte, laterizi e coppi gli elementi utilizzati per la costruzione del complesso (in parte danneggiato da un incendio) che racchiude ancora qualche “mistero” come i due fori vicini al corridoio-essicatoio. In epoca post romana l’area viene sistemata con apporto di terra per lo sfruttamento agricolo, ma poi verrà abbandonata a causa del materiale alluvionale (come ancora si vede nella stratificazione) portato dall’Adige.

E ora che ne sarà dell’area archologica del Navicello? Ritornerà nell’oblio sotto metri di terra per lasciare avanzare i lavori per l’impianto di trattamento dei rifiuti oppure si continuerà a scavare verso nord alla ricerca di altri siti?

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