IL CONTAGIO

Il Covid è un “affare di famiglia” 

Le cause della diffusione. L’Azienda sanitaria indica nel contatto tra parenti stretti la principale causa di trasmissione del virus Tra chi si è malato sul lavoro, i sanitari sono il gruppo di gran lunga più numeroso: ora è alta l’attenzione per eventuali infezioni nei luoghi pubblici


Andrea Selva


TRENTO. Il Covid è un affare di famiglia: ecco la prima causa di contagio rilevata dagli epidemiologi dell’azienda sanitaria nel corso dell’epidemia trentina, tanto che nelle settimane scorse era stato lanciato (invano) l’appello ai soggetti positivi per lasciare la propria abitazione (naturalmente se possibile) per trascorrere il periodo di isolamento in albergo. Un appello raccolto solo da poche decine di persone. La dottoressa Maria Grazia Zuccali - dirigente medico del dipartimento prevenzione dell’Azienda sanitaria - conferma che oltre il 50 per cento dei contagi sarebbe avvenuto all’interno della famiglia: «È tipico il caso di una persona infetta che poi contagia anche i familiari, perché - nonostante tutte le raccomandazioni - non è comunque semplice rispettare un isolamento domiciliare come si deve, con il malato in una stanza singola, possibilmente con un servizio igienico ad uso esclusivo (altrimenti il bagno deve essere sanificato ogni volta) e con la necessità di mangiare separatamente dagli altri componenti della famiglia. Si tratta di prescrizioni che sono difficilmente applicabili all’interno di un appartamento. Quanto al trasferimento dei malati in altre strutture ricettive, come abbiamo proposto, è stata una soluzione che ha riscontrato poche adesioni perché le persone malate lasciano malvolentieri la propria casa, con eccezione di chi è a contatto con persone particolarmente fragili e che quindi era molto più sensibile al problema di eventuali contagi».

I contagi sul lavoro

L’Azienda sanitaria ha verificato anche contagi sul posto di lavoro, soprattutto nella primissima fase dell’epidemia quando il lockdown non era stato ancora attuato. Tra questi ci sono alcune persone che lavorano nel mondo del turismo invernale, in particolare nella zona del Tonale e della valle di Fassa. Ma con l’arrivo del lockdown (e la chiusura quindi di negozi ed esercizi pubblici) è stato impossibile misurare nella realtà i contagi nei luoghi pubblici oppure nelle scuole (chiuse in un periodo ancora precedente). Secondo i dati dell’Inail comunque il 97% degli infortuni del lavoro denunciati fino ad aprile (compreso) riguardano persone che lavorano nel mondo della sanità o delle politiche sociali.

Rsa e comunità

Sono rilevanti i contagi all’interno delle Rsa, ma sul tema i numeri sono molto diversi, in base ai sistemi utilizzati per la diagnosi (con tampone oppure no): in un report del 12 maggio l’Azienda sanitaria indica in circa 500 i residenti delle strutture per anziani contagiati, ma secondo le indicazioni fornite in aprile il numero era superiore al migliaio. Numerosi contagi (con decessi) anche nei conventi di frati e suore e pure nelle strutture per l’accoglienza di persone disabili.

Il nodo delle riaperture

L’Azienda sanitaria ora è impegnata nel valutare gli effetti delle riaperture, misurando sul campo eventuali riprese dei contagi legati alla frequentazione di luoghi di lavoro, negozi o esercizi pubblici. Ma anche i questionari raccolti nelle scorse settimane verranno analizzati nel tentativo di individuare (anche con l’aiuto di programmi informatici) eventuali legami tra luoghi e persone per studiare in profondità la trasmissione del virus.

 













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