la trento "nascosta"

I ponti sull’Adige che uniscono la città

Ravina, San Lorenzo e San Giorgio: tutti ricostruiti nel secondo dopoguerra, dopo i disastrosi bombardamenti del 1943


di Mauro Lando


TRENTO. Autostrada e Tangenziale a parte, Trento ha tre ponti per superare il suo fiume. Ne esisterebbe anche un quarto, ma lo si vede solo nelle cartografie antiche perché se ne sono perse le tracce poco più di un secolo e mezzo fa. Era il “millenario” ponte di legno che dalla Torre Vanga superava l’Adige arrivando a quello che era il convento di San Lorenzo, ossia all’area dell’attuale stazione delle autocorriere. Fu demolito quando si procedette alla rettifica del fiume (1854 – 1858) e nel contempo si costruì, tra il 1857 ed il 1858, il primo ponte verso Piedicastello.

Lasciato alla storia il ponte antico, i tre attuali sono quello di Ravina, quello di Piedicastello e quello che da Cristo Re va verso la Tangenziale. Si tratta di manufatti relativamente “giovani” e due di loro hanno pieno titolo per essere considerati “luoghi nuovi”. Con tale denominazione si intendono angoli di città fuori del centro storico formatisi negli ultimi decenni e dotati di una loro storia o di una loro caratteristica che li rendono un po’ speciali.

Il ponte meno brillante, che comunque ha diritto alla citazione, è quello che porta a Ravina: costruito nel 1962 facilitò l’accesso alla “destra Adige” per raggiungere la quale prima era necessario passare da Piedicastello o da Mattarello.

Quello più pieno di storia, e certamente più caratterizzato come “luogo nuovo”, è il ponte denominato San Lorenzo che porta a Piedicastello: è però il terzo tra quelli che in quel luogo sono stati costruiti a cavallo dell’Adige. L’attuale è stato gettato tra il 1947 ed il 1949 dopo che il precedente era stato distrutto il 2 settembre 1943, giorno del primo bombardamento aereo su Trento.

I ponti sull'Adige, vecchi e nuovi

E’ retto da tre campate su due pilastri ed importanti sono i suoi parapetti ed i suoi marciapiedi pensati come fosse un luogo di passeggio. Quando però, dal 1974 al 2007, è stato trasformato in accesso alla Tangenziale le passeggiate sul ponte non sono state certo stimolate. Per questo sempre meno ci si è accorti della presenza alle sue estremità di quattro piccole terrazze affacciate sul fiume con muri e panchine in pietra rossa. E’ qui che Eraldo Fozzer ha scolpito le icone della città, ossia l’Unitas di Bernardo Clesio, San Vigilio ed anche un Nettuno. Sono piccoli luoghi speciali di questo “luogo nuovo” che ha il suo annuale momento di celebrità in occasione della “tonca” durante le Feste vigiliane.

Se questo è il terzo ponte di San Lorenzo, quali furono gli altri due?

Il primo fu quello edificato tra il 1857 ed il 1858 in “pietra lavorata con quattro arcate sostenute da tre pile, dello spessore di due metri”. Aveva un difetto: le sue arcate erano troppo basse e in caso di piena si rischiava l’esondazione, oppure il cedimento. L’esondazione arrivò nel 1882 per cui il Comune lo demolì e nell’estate 1889 il ponte nuovo era pronto.

Questo secondo ponte di San Lorenzo era a campata unica e costruito in ferro: per quel tempo si presentava come una meraviglia del progresso tenuto conto, fatte le debite proporzioni, che proprio nel 1889 a Parigi fu inaugurata la Tour Eiffel, anch’essa tutta di metallo. Dopo poco più di mezzo secolo di onorato servizio il ponte finì nell’Adige perché centrato dalle bombe sganciate dagli aerei.

Mentre quello verso Piedicastello era in ammollo e in attesa della ricostruzione del dopoguerra, fu gettato l’altro ponte sull’Adige, ossia quello di San Giorgio. E’ il manufatto che fino al 2011 collegava il casello autostradale di Trento Centro con via Fratelli Fontana. Ora unisce la città con la Tangenziale e col viadotto per Cadine.

La sua costruzione in periodo bellico fu resa necessaria perché Trento era rimasta senza collegamenti diretti e rapidi con l’area occidentale della Provincia. Gli altri ponti utilizzabili erano a Mattarello ed a Zambiana, troppo lontani soprattutto per gli scopi militari e malamente serviti dalla viabilità. Fu così che nell’inverno tra il 1943 ed il 1944 nacque il nuovo ponte costruito su cinque piloni di cemento uniti da tronchi ed assi. Fu usata questa tecnica perché nel caso che fosse bombardato, cosa che effettivamente avvenne, era più semplice ripristinarlo.

Nessuno aveva pensato di assegnargli un nome: era chiamato “ponte di guerra” oppure “ponte dei todeschi” finché nel 1951divenne ponte San Giorgio. “La paternità di quel nome”, segnala Armando Vadagnini nel suo libro sul rione di Cristo Re, “spetta ad Aldo Lunelli e a due suoi amici dell’oratorio, che di notte passarono una pennellata di vernice sui piloni del ponte battezzandolo con quel nome in onore di San Giorgio, patrono degli esploratori cattolici”. Alla fine della guerra fu sottoposto a lavori di consolidamento e riattivato nel 1953 per poi essere demolito per ragioni di sicurezza rilevate durante l’alluvione del 1966: ricostruito con due soli piloni è stato riaperto nell’estate del 1970.

Due ponti, due “luoghi nuovi” da apprezzare, però l’Adige lontano dalla città rallenta comunque il loro utilizzo urbano.

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