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Hamburger, kebab e würstel nel piatto: «Perse le vostre origini»

L’analisi di due guru della critica enogastronomica: «Trento guarda a Milano, ma a Bolzano è diverso»


di Gianpaolo Tessari


TRENTO. Hamburger, würstel e kebab. Per trovare la cucina trentina in città si dovrà presto chiedere l'aiuto di “Chi l'ha visto?”. Sparite le eccellenze, in centro i ristoranti con le stelle Michelin sono tutte spente, negli ultimi mesi si è assistito ad una serie di aperture che, se da una parte testimoniano la vivacità della città, dall'altra offrono uno strano fenomeno culinario: sono ormai tre i locali di taglio pseudo bavarese con il personale in costume che propongono una linea che punta più sulla quantità che non sulla qualità.

Dall'altra c'è una ricca e variegata offerta di hamburger: non solo quelli delle grandi multinazionali Usa che presidiano Trento a nord e a sud, ma anche locali quasi di nicchia, come quello dell'imprenditore veronese che apre oggi, che avranno in menù hamburger “trentinizzati” con riduzione di Teroldego. A saldare le due offerte ci sono i kebab diventati una presenza che va ben oltre l'etnico. Di quello che bolle nelle padelle trentine può dire la sua con competenza Doctor Gourmeta, alias Carlo Spinelli, food writer e gastro performer milanese.

Recente autore di “Bistecche di formica e altre storie gastronomiche” (uscito per i tipi di Baldini e Castoldi) e con un'esperienza di vacanze da bambino a Sfruz: «Certo. Anche la mia, come tante mamme milanesi, aveva il mito dell'aria buona e del mangiare sano del Trentino. Ora Trento, parlo della città, le valli sono un'altra cosa, si sta comportando dal punto di vista gastronomico come la maggior parte dei capoluoghi italiani. Bolzano, e mi capita di andarci abbastanza spesso, è invece una realtà diversa: molto ma molto attenta alle proprie tradizioni. Trento invece sta seguendo quel trend del nord Italia di cui Milano ha allo stesso tempo le colpe ed i meriti: come altri capoluoghi sta seguendo il filone della cucina internazionale, o anche creativa, ma lo fa bypassando le proprie origini. Faccio un esempio. Dal punto di vista mediatico, è notizia di queste ore, i social network e poi domani (oggi) i giornali esalteranno il fatto che Bottura della Francescana di Modena è arrivato secondo a New York nella classifica dei Top Ristoranti del Mondo. Tutto è globalizzato. Eppure d'altra parte è paradossale - e da voi vi sono due grandi chef come Alfio Ghezzi (Locanda Margon) e Alessandro Gilmozzi (El Molin) – che siano in molti casi proprio i ristoranti stellati a mantenere viva la tradizione della cucina del territorio».

Due realtà, però, non propriamente cittadine, anche se Ghezzi lavora ad un tiro di schioppo dal centro: «Le città, Trento non fa differenza, seguono i trend che stanno andando nel mondo, in Europa. E, a quanto mi dice, si può essere soddisfatti che via sia una persona che, nel suo nuovo locale, faccia una riduzione di Teroldego, grazie al cielo. A Torino, stanno tentando di fare un discorso gastronomico che riparta dalle origini: è partita una catena di hamburgerie che esalta esclusivamente il Piemonte. In Romagna si punta sulla piadina creativa, ma è piadina».

Tira le fila del discorso Edoardo Raspelli, “padre” di tutti i giornalisti gastronomici e recordman di share con il suo “Mela Verde” su Rete 4: «E’ la globalizzazione. Se ci si rallegra perché a New York sono arrivate le nocciole italiane o gli spaghetti di marca, da noi è giocoforza ci siano sempre più hamburger che, se fatti con i tagli di carne giusti, non sono nemmeno il male peggiore, anzi. Oggi sono in Sicilia e mi aspetto di provare i gamberi rossi di Mazara del Vallo. Se vengo a Trento cerco dei canederli fatti bene. Dove li trovo?».













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