Grisenti, «convince» solo la truffa

La Suprema Corte: lacunose le condanne per corruzione e tentata concussione. La palla passa ai giudici di Bolzano


di Luca Marognoli


TRENTO. Silvano Grisenti andava condannato per il solo reato di truffa aggravata, gli ormai famosi pranzi pagati con la carta di credito dell’A22 e compiuti - osserva la Cassazione - non come attività di rappresentanza ma “di natura eminentemente politica”. Non hanno convinto la Suprema Corte, invece, le due condanne per corruzione e quella per tentata concussione emesse dalla Corte d’appello a carico dell’ex presidente dell’AutoBrennero. Dopo quattro mesi e mezzo dal pronunciamento, sono state depositate le motivazioni di Piazza Cavour. Che seppure non addentrandosi nel merito ma negli aspetti procedurali, come è sua competenza, evidenziando le lacune della sentenza di secondo grado alleggerisce di fatto la posizione dell’attuale leader di Progetto Trentino. Il quale ha anche un altro motivo per sorridere: i giudizi di rinvio delegati alla Corte d’appello di Bolzano arriveranno presumibilmente 6 mesi dopo la spedizione degli incartamenti da Roma (attesa a fine estate), ben oltre la data delle elezioni provinciali.

Ecco i punti cardine alla base della decisione del 5 febbraio scorso. Stando alla Cassazione, Silvano Grisenti non doveva essere condannato per avere ottenuto sponsorizzazioni delle associazioni sportive As Pattinatori di Trento e Gs Pallamano di Mezzocorona in cambio di agevolazioni negli appalti per la Collini e la Oberosler: un simile reato può essere commesso solo da un “pubblico impiegato” e lui non lo era. Per questo (corruzione impropria l’imputazione, cioè per un atto contrario ai doveri di ufficio) la sentenza è stata annullata in maniera definitiva “perché i fatti non sono previsti come reato”.

Non erano sufficienti, invece, le motivazioni addotte dalla Corte d’appello per ribaltare la sentenza di assoluzione del primo grado in condanna, sulla presunta corruzione (propria) per aver sollecitato l'imprenditore Fabrizio Collini a dare degli incarichi a favore della società del fratello di Grisenti in cambio di una “spintarella” per aggiudicarsi l'appalto per il nuovo casello A22 di San Michele. Restano in piedi - osserva la Suprema Corte - le obiezioni sollevate dal giudice di primo grado Carlo Ancona, secondo cui da un lato gli ipotetici favori “non erano individuabili”, dall’altro che la richiesta di dare “spazio” al fratello costituiva un “generico riferimento” al suo coinvolgimento nei lavori, non sufficiente “a configurarlo come una controprestazione cui collegare il preteso favore” dell’ex assessore provinciale. Da qui la decisione di “azzerare” tutto mandando il fascicolo a Bolzano per un nuovo giudizio.

Quanto alla tentata concussione, per la Cassazione “non risulta essere stato adeguatamente chiarito” dalla Corte d’appello se Grisenti, “con le accertate pressioni” nei confronti del consorzio Ccc per indurlo a rinunciare al ricorso al Tar contro l'aggiudicazione dell'autostrada Cispadana alla cordata guidata dall'A22, intendesse agire nell’interesse della società di via Berlino o per fini propri. Solo nel secondo caso può configurarsi tale reato ma bisognerebbe valutare se sia ravvisabile una fattispecie induttiva, costrittiva o se si tratti invece di estorsione.

Grisenti era stato condannato in appello a 1 anno, 6 mesi e 10 giorni e in primo grado a 4 mesi di reclusione (per le sole sponsorizzazioni), convertiti in 4.560 euro di multa.

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