Gli ortodossi di Trento: «Qui ci sentiamo a casa»

Oltre 15 mila fedeli su tutto il territorio provinciale e due chiese “dedicate” Padre Ioan: «Bressan, grande vescovo. Ma dalla Provincia nessun aiuto»


di Luca Pianesi


TRENTO. “Per la comunità ortodossa locale tutto è cambiato nel 2007. Da quel momento in poi la nostra chiesa è passata dall’essere un pronto soccorso al diventare uno stabile ospedale”. Con questa metafora Padre Ioan Catalin Lupastean, il parroco della chiesa ortodossa di Trento, quella di San Marco, spiega come l’ingresso nell’Unione europea della Romania abbia trasformato la realtà della sua comunità. “Anche in Trentino, prima del 2007 – racconta padre Ioan – i rumeni erano degli extracomunitari che, una volta arrivati in provincia, cercavano nella parrocchia e negli istituti religiosi ortodossi un primo punto d’appoggio. E la Chiesa si trovava ad affrontare essenzialmente delle emergenze. Ai nostri fedeli, infatti, spesso serviva aiuto per la lingua, per la ricerca di un lavoro, per trovare una casa e per regolarizzare i documenti. Dal 2007 la situazione s’è stabilizzata, il nostro intervento è rientrato nell’ordinarietà e oggi possiamo occuparci, essenzialmente, dell’aspetto spirituale dei nostri fedeli”. Quella ortodossa, in Trentino, è la più grande comunità religiosa, dopo la cattolica. Il loro numero s’aggira intorno alle 15.000 unità che fanno riferimento alle due chiese della provincia. La prima, Sant’Antonio, è a Rovereto e si rifà al Patriarcato di Mosca mentre la seconda, la San Marco di Trento, è fedele al Patriarcato di Romania. “Ma la nostra realtà è in crescita – prosegue padre Ioan – basti pensare che dal 2003, anno nel quale sono diventato parroco, abbiamo battezzato quasi 1.000 persone. E poi abbiamo aperto due altre piccole comunità: una in Val di Fiemme, dove celebriamo alcune delle nostre feste religiose, e una a Cles, in Val di Non, dove ogni primo sabato del mese dico messa”. La popolazione rumena, infatti, dal 2007, in Trentino, è cresciuta del 50,2%, raggiungendo le attuali 8.545 unità, e quella moldava, anch’essa di religione ortodossa è aumentata del 60,8%, per un totale, a oggi, di 2654 residenti. “Il flusso migratorio è stato di proporzioni notevoli – commenta il parroco di San Marco – perché la nostra comunità s’è trovata molto bene qui in Trentino. Rumeni, Moldavi, ma anche Ucraini e Russi sono grandi lavoratori. Gli uomini si sono impiegati principalmente nell’edilizia, nelle costruzioni e nell’industria del legname. Le donne nell’assistenza agli anziani e alle famiglie. Sono tutti ben integrati e inseriti nel tessuto sociale italiano. Basti pensare che, al di là degli stereotipi, nel carcere di Trento ci saranno al massimo una ventina di rumeni. Su oltre 8.500 residenti direi che è una percentuale prossima allo zero. E la buona integrazione s’è avuta anche grazie alla comunità trentina. Siamo stati accolti molto bene, non ci sono mai stati episodi di razzismo eccessivi e la situazione non è mai degenerata. L’arcivescovo Bressan, poi, è una persona sensibile e acculturata. Prima di darci la chiesa di San Marco, infatti, ce ne stavano per dare una con all’interno un affresco del purgatorio. Ebbene noi, in quanto ortodossi, non crediamo in questa figura, che è tipica della tradizione cattolica, e per rispetto c’è stata data quella di San Marco. Dal Comune e dalla Provincia, invece, non abbiamo mai avuto nessun appoggio o aiuto. Da questo punto di vista – conclude padre Ioan - abbiamo sempre fatto tutto da soli”.













Scuola & Ricerca

In primo piano