Gli affari della Croce rossa trentina nel mirino di Report

Capannone a Lavis e Villa Beatrice di Levico venduta, per Tononi «è tutto ok»


Giuliano Lott


TRENTO. Tempesta sulla Croce rossa. Il servizio di Report ha scoperchiato un pentolone di debiti: 60 milioni di euro lasciati in eredità al nuovo commissario Francesco Rocca dalle passate gestioni.

E nel ciclone è finita anche la Croce Rossa di Trento per la sede di Levico e un capannone acquisito a Lavis.

Ma il commissario trentino Alessandro Brunialti assicura: nessun pasticcio. Il Comitato Croce rossa di Levico aveva ceduto anni fa alcune case del compendio di Villa Beatrice al Comune per la somma di 4,9 milioni, pagati al Comitato centrale di Roma. Secondo Report, di quei soldi Levico non ha più saputo nulla.

«In realtà - spiega Giorgio Tononi, ex sindaco di Trento ed ex presidente del Comitato trentino della Croce rossa - abbiamo ceduto una parte degli immobili, che stavano deperendo per l'abbandono, e trattandosi di proprietà della Croce rossa centrale era del tutto ovvio che fosse Roma a incassare. Ma in cambio abbiamo ottenuto la realizzazione di un grande centro convegni per la Croce rossa. Sono ormai due anni che ho abbandonato il ruolo, ma a quanto mi risulta i lavori dovrebbero essere imminenti».

Diversa la questione per il capannone acquistato a Lavis, in via Negrelli, nell'estate di due anni fa dalla Edilcom Zrl di Zuclo. Il Comitato trentino siglò il contratto preliminare d'acquisto senza aver conseguito l'ok da Roma. «Quel capannone ci serviva come autorimessa, non potevamo tenere i nostri mezzi all'aperto. C'erano ambulanze nuove e costose da tutelare».

D'accordo, ma l'inchiesta di Report ha appurato che voi avete acquistato il capannone per poco meno di un milione - per l'esattezza, 961 mila euro - senza essere stati autorizzati dal Comitato centrale. In sostanza, vi accusano di avere commesso un abuso bello e buono. Tanto che sull'affare c'è un'indagine della Corte dei Conti. «Al Comitato centrale avevamo richiesto mesi prima il parere. Ma non arrivava nessuna risposta e il titolare del capannone, per farla breve, ci aveva dato l'ultimatum».

Cioè? «Ci disse più o meno: se il capannone vi interessa dovete pagarlo, altrimenti lo venderò a qualcun altro. A noi quella struttura serviva, con urgenza. E siccome pagavamo con i nostri soldi, il parere di Roma era poco più che una formalità. Ancora prima di sapere se al Comitato centrale avrebbero detto sì o no, abbiamo firmato l'accordo con la proprietà. Se non l'avessimo fatto, avremmo perso l'opportunità. Dovevano ringraziarci, altrochè. Invece ora indagano su di noi, è un'assurdità».

L'attuale commissario Alessandro Brunialti, in carica da due anni, conferma: «L'acquisto "irregolare"? E' stato un errore di valutazione dei tempi delle pratiche. Ma ci serviva sul serio. E dietro, lo posso assicurare, non c'è alcun mistero».

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