rovereto

Gallox, fumata nera proprio alla firma

C’era l’accordo su stabilimento, canone di affitto e livelli occupazionali. Ma all’ultimo il Piva Group si è ritirato


di Luca Marsilli


ROVERETO. Stupore, addirittura incredulità. La rinuncia, secca e comunicata con una lettera alla stampa, da parte del gruppo Piva ad acquisire la Gallox rilanciandone l’attività è arrivata a Rovereto e in Provincia come una mazzata del tutto inattesa. Quando ormai anche i minimi dettagli dell’accordo erano stati concordati e definiti e nel giorno, martedì, in cui le due parti, Provincia e Piva Group, si erano scambiate la bozza di accordo per procedere alla firma.

E’ l’epilogo peggiore di una trattativa lunga e faticosa, fatta di richieste e proposte, di mediazioni e rilanci. Ma che alla fine costringe a prendere atto che le condizioni del mercato e dell’azienda sono ormai tali, che nemmeno una proposta che lo stesso Olivi definisce “quasi scandalosa” (raccomandando le virgolette) è bastata per arrivare ad una conclusione positiva. «Non è naufragata una trattativa - dice lo stesso assessore - anzi: la trattativa era già chiusa e con piena soddisfazione anche del gruppo Piva. Ma malgrado tutto, il potenziale acquirente ha giudicato l’investimento non sostenibile. E si è tirato indietro quando attendevamo solo la firma dell’accordo».

La Gallox ha cessato l’attività ormai da tempo, strangolata dai debiti. Produceva infissi: una lavorazione a basso contenuto innovativo e tecnologico. Quello che oggi si dice essere “vecchio” e quindi non proponibile in Italia e in Europa, perché l’impatto del costo del lavoro sul prodotto finito è troppo elevato e quindi la competitività dei paesi emergenti insostenibile. Ma il gruppo Piva opera nello stesso settore ed era cliente di Gallox: il suo interessamento era l’unico possibile per rilanciare l’attività tradizionale dell’azienda. E quindi il migliore per il mantenimento dell’occupazione in uscita da Gallox: ad oggi, 110 persone. Ulteriore problema, l’azienda si sviluppava su due diversi stabilimenti, uno di proprietà di Trentino Sviluppo, l’altro di una banca: Bnp Paribas. Per rilevare l’attività il gruppo Piva aveva chiesto di entrare nei locali in affitto e da un solo proprietario: la Provincia. Quindi Trentino Sviluppo doveva entrare in possesso anche del secondo edificio. Si è attrezzata per farlo, chiudendo con Paribas un contratto di acquisto condizionato al perfezionamento dell’accordo con Piva. Circa 3 milioni per acquistare il capannone.

Risolto questo punto, restava il nodo dell’affitto: Piva voleva spendere meno possibile per investire nell’attività produttiva. E l’accordo finale si è raggiunto su basi quasi imbarazzanti: 1.160.000 euro per 8 anni, più di metà dei quali però coperti da contributi. Alla fine il gruppo Piva avrebbe dovuto sborsare per l’affitto 640 mila euro in otto anni, 80 mila l’anno. Per 27 mila metri quadrati di capannoni ed uffici. E fin qui siamo alle agevolazioni «speciali», studiate e concordate per questa specifica operazione. Va da sè che la nuova impresa avrebbe goduto anche di tutte le agevolazioni ordinarie all’imprenditoria, come per esempio i 5 anni di esenzione dall’Irap.

Comunque sia, l’ultimo nodo restava quello dell’occupazione. Il primo progetto del Piva Group prevedeva la riassunzione di 50 dipendenti. Troppo pochi, è stata la risposta della Provincia, per giustificare uno sforzo economico come quello che si chiedeva al Trentino. Ma l’accordo finale non si era allontanato di moltissimo da quella previsione: partenza con 50 dipendenti ma obbligo di arrivare a 70 entro 3 anni. Tutto questo è ciò che era stato messo nel protocollo definito nei giorni scorsi e passato a inizio settimana alla firma. Sembrava fatta, fino alla doccia fredda di mercoledì sera. «Ogni azienda - commenta Olivi - è padrona di fare le proprie valutazioni. Ma non credo che possiamo rimproverarci nulla: più di questo, oggettivamente, non si poteva arrivare a proporre».

 













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