Ex macello, «albergo» per i disperati

Viaggio all’interno dei fabbricati, fra spazzatura e giacigli, diventati alloggi per i senza tetto. Preoccupazione fra i residenti


di Nicola Filippi


ROVERETO. Sul cancello in ferro battuto è ancora appeso il cartello del servizio comunale di incerimento delle carcasse di animali, con le relative tariffe. Per un cane, nel 1998, 50 mila lire, gatti e piccoli animali meno della metà. Il cancello è «stranamente» aperto. All’interno, si capisce che l’ex macello comunale, costruito ancora ai primi del Novecento - immenso spazio, a due passi dalla struttura in stile casa clima dell’istituto d’arte Depero, con vari fabbricati in disuso da anni -, è diventato una sorta di “albergo” per i senza tetto. Nel corpo centrale, lontano da occhi indiscreti, i disperati hanno occupato uno stanzone, ricavando una decina di giacigli. «Pensavamo di trovare il cancello chiuso - spiegano due funzionari della Provincia, in sopralluogo - invece era tutto aperto. Probabilmente sono riusciti a spaccare i catenacci e ora chiunque entra ed esce». I residenti del quartiere San Giorgio lo avevano già segnalato in circoscrizione. Anche il consigliere provinciale leghista, Claudio Civettini, ha deciso di sollevare la questione, scrivendo una interrogazione.

L’ex macello comunale ieri mattina si presentava in tutto il suo “splendore”. Appena all’interno, siamo accolti da intensi afrori umani e odori animali che si esaltano nella calura estiva. Nel primo fabbricato, a sinistra, troviamo un motorino Ciao bianco, con il motore smontato a fianco, una bicicletta da donna modello Radis, un tosaerba, bottiglie di plastica dell’acqua di Del Piero vuote, un fornello a gas, un mobile di legno, vari sacchi neri. Nella stanza a fianco, raccoglitori di plastica con i nomi di vari alberghi della Vallagarina e modulistica cartacea varia. Il tetto è marcescente, ma si notano a terra i segni di giacigli. Ci spostiamo nella zona delle celle frigo. Immense, senza finestre, con le pareti ricoperte di piastrelle bianche, paiono disabitate. Sul soffitto, spiccano ancora i ganci sui quali i macellai appendevano le carcasse degli animali. A terra, un po’ di tutto. Bottiglie di plastica, sacchi neri, coperte. Usciamo all’aria aperta.

Il corpo centrale dell’ex macello è barrierato. Nel senso che su finestre e porte gli operai del cantiere comunale hanno apposto assi e lamiere, per impedire le intrusioni. Anche l’abitazione a tre piani è “murata”. Accompagnati dalle lucertole, aggiriamo il fabbricato centrale. Sulla sinistra, le prime avvisaglie di “vita emarginata”: due asciugamani bianchi sono stesi ad asciugare. Piatti di plastica e posate, in terra. Scarpe, un sacco a pelo e una coperta sono ammucchiati sotto un albero. Scendiamo una rampa di scale: in una stanza, senza finestre, con una sola porta, vari giacigli di fortuna. Con abiti appesi alle pareti e su un filo da bucato. Nessuno all’interno. Terminiamo il sopralluogo negli altri edifici: vuoti, senza “ricordi” umani. Ma resta un fatto. In pieno centro città, vedere un complesso industriale in uno stato così penoso lascia perplessi. E preoccupa i residenti.

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