Dopo l’accusa (falsa) di lesioni deve risarcire con 35 mila euro 

La causa in tribunale. Una dipendente comunale aveva querelato la segretaria sostenendo  che le aveva fatto male. Dopo la condanna penale per calunnia è arrivata anche quella civile



Trento. Il danno c’è stato, così ha stabilito il giudice. Un danno provocato da quell’accusa di lesioni che, alla luce degli accertamenti fatti, era falsa. E il danno provocato dalla calunnia è stato quantificato in 35 mila euro. A fronte di una richiesta iniziale avanzata dalla parte offesa di 100 mila euro.

La vicenda inizia nel 2010 e le protagoniste sono due donne. Una segretario comunale di un Comune della Rendena, l’altra dipendente della stessa amministrazione. È quest’ultima che presenta (nel 2010) una querela contro il segretario accusandola di averle provocato delle lesioni e di aver avuto nei suoi confronti una condotta minacciosa e ingiuriosa. Accusa di lesioni che è finita davanti al giudice di pace e dalla quale era stata assolta. Mentre il procedimento per ingiuria e minaccia, c’era stata l’archiviazione. C’è stato quindo il procedimento penale contro la dipendente comunale per falso (per la falsificazione di certificati medici utilizzati a sostegno della querela per lesioni), diffamazione e calunnia. Con la condanna su tutto e per la calunnia era intervenuta anche la sentenza della Cassazione. In sede penale c’era stato il riconoscimento del risarcimento del danno che andava quantificato in sede civile. E si arriva così alla sentenza delle scorse settimane. «La condotta calunniosa - si legge nella sentenza - è stata occasionata dal luogo dove entrambe le parti svolgevano l’ attività lavorativa e ciò ha facilitato l’ immediata diffusione in tale ambito delle accuse rivolte dalla dipendente in danno del segretario. L’ immediata diffusione dell’accusa si è verificata non solo in ambito lavorativo ma anche nel limitato ambito territoriale in cui si trova il Comune. La scarsa frequenza di fatti di cronaca rilevanti in una comunità ristretta sia per numero di abitati che per estensione territoriale agevola la diffusione di notizie anche di fatti non gravi, ma che interessano largamente l’ opinione pubblica». E poi «nella quantificazione del danno bisogna anche tener conto della particolare intensità del dolo che caratterizza reato di calunnia, dolo che nel caso di specie presenta caratteristiche di significativa pervicacia posto che già in passato la convenuta aveva presentato delle denunce nei confronti dell’attrice».

Ricostruendo quindi i fatti la decisione finale è stata nel senso della condanna dell’allora dipendente comunale a risarcire la parte civile con 35 mila euro dei quali 10 mila erano già stati versati e sono stati riconosciuti come un acconto.















Scuola & Ricerca

In primo piano

L’ultimo saluto

A Miola di Piné l’addio commosso a don Vittorio Cristelli

Una folla al funerale del prete giornalista che ha segnato un’epoca con la sua direzione di “Vita Trentina”. Il vescovo Tisi: «Non sempre la Chiesa ha saputo cogliere le sue provocazioni»

IL LUTTO. Addio a don Cristelli: il prete “militante”
I GIORNALISTI. Vita trentina: «Fede granitica e passione per l'uomo, soprattutto per gli ultimi»
IL SINDACO. Ianeselli: «Giornalista dalla schiena dritta, amico dei poveri e degli ultimi»