Dal passato torna «Ciso» il lambrusco di Avio

Domenica presentazione dei vignaioli “Dolomitici” a Castel Noarna di Nogaredo Il vigneto autoctono a Mama ha cent’anni. Sono state già prodotte 3000 bottiglie


di Michele Stinghen


AVIO. Domenica toccherà al vino a parlare, proprio come piace dire ad Eugenio Rosi, uno dei vignaioli "Dolomitici" che presenteranno a Castel Noarna il "Ciso", il lambrusco a foglia frastagliata coltivato a Mama d'Avio. Qui il consorzio che raccoglie 11 viticoltori che seguono un'agricoltura naturale, adottando i criteri del biodinamico, ha recuperato un vigneto vecchio di cent'anni. I 727 ceppi di lambrusco a foglia frastagliata (e non Enantio, come in passato era stato ribattezzato), franchi di piede, sono stati piantati ad inizio Novecento, e passeggiando tra queste antiche viti sembra di tornare a quell'epoca: pali in legno, pergola doppia, allevamento promiscuo (che sarà recuperato dai vignaioli, con semina di grano, mais, ortaggi, come una volta). I "Dolomitici" sono riusciti a fermare l'estirpazione («Siamo intervenuti con le motoseghe accese», fa Eugenio Rosi), prendere in affitto il campo (pagandolo come se fosse pinot grigio, quindi tutt'altro che poco) e a ridare vita al vino. Attualmente il campo è in fase di conversione al biologico. Al recupero del vigneto ha dato un contributo importante, a livello di ricerca tecnica e storica Francesco Penner, del centro di assistenza tecnica del Navicello, il quale collabora anche con il Museo Usi e Costumi.

Domenica a Castel Noarna si presenta così Ciso, in ricordo dell'anziano contadino che consegnò ai "Dolomitici" il vigneto (dal nome Narciso); dalla vendemmia sono state prodotte 3000 bottiglie, oltre a 150 magnum. Dalle 15 alle 22 al castello sopra Nogaredo si potrà così degustare così un vino antico e carico di storia. I vignaioli ci tengono alla storia ed alla natura, e ci tengono anche al nome originario, lambrusco detto anche "zicolada" o "'mbrosca". «É una varietà che nessuno di noi coltiva in azienda - spiega Elisabetta Foradori, celebre produttrice di teroldego - ma è un simbolo per il Trentino. Un simbolo come il Teroldego, come il Nosiola ora in difficoltà, o come il Marzemino, ristretto ad una piccola zona». Eugenio Rosi, di Volano, prima di mettersi in proprio era enologo ad Avio, e di questa zona conosce la storia. «Questo Lambrusco è un vero autoctono trentino, era tanto ma "sprecato" come vino da taglio. Con il Ciso abbiamo cercato un'espressione vera di questo vitigno, interpretandolo. Bisogna capire perché una volta si coltivava in un certo modo, per poi interpretarlo in chiave moderna». Un plauso è giunto dall'amministrazione: «É un regalo che ci viene fatto - fanno il sindaco Borghetti e il vice Secchi - sarà un ritorno d'immagine, aiuteremo i vignaioli a continuare questo progetto».

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