«Con Dante riempio i teatri perché lui ci insegna l’umanità» 

Le Letture della Divina Commedia del biblista Vivaldelli sono un fenomeno: seguite da migliaia di persone, molti giovanissimi


di Fabio Peterlongo


TRENTO. Le sue letture della Divina Commedia sono spettacoli da “tutto esaurito”. Attraverso i teatri e le sale convegni della regione, il professor Gregorio Vivaldelli, biblista e saggista di Riva del Garda, racconta il viaggio straordinario di Dante nei tre regni dell'Al di là, sottolineandone i punti di contatto con le esperienze di tutti i giorni. II prossimo appuntamento con “Ritorna a te stesso” è per questa sera all'Auditorium Santa Chiara di Trento, alle 20.30, con l'organizzazione della Biblioteca Diocesana Vigilianum.

Professor Vivaldelli, da cosa nasce il successo che il pubblico riserva alle sue letture dantesche?

La Divina Commedia è un patrimonio di umanità, che con la sua ricchezza aiuta ad essere più umani. Le persone hanno un bisogno profondo di bellezza: riconoscono nel viaggio di Dante le proprie fragilità e vi trovano spunti di gioia. La Divina Commedia è un viaggio esistenziale che chiama alla scelta, alla responsabilità.

Dante è un passaggio spesso “indigesto” nel curriculum scolastico delle scuole superiori. Eppure sono tanti i giovani che prendono parte alle sue letture. Merito della scuola?

Vedo tanti insegnanti che danno il massimo per far amare la Divina Commedia ai loro studenti. Dall’altra parte, gli studenti si avvicinano con interesse all’opera di Dante: nel loro mondo virtuale, Dante porta degli elementi forti di realtà. Basti pensare alla miriade di personaggi che presenta, le cui fragilità sono anche le nostre. Parlando dell’Al di là, Dante racconta il nostro mondo.

Sui social-network i ragazzi usano spiritosamente i profili di Dante, Leopardi, D’Annunzio per creare delle “chat” surreali in cui i grandi della letteratura si confrontano sui temi di tutti i giorni. Che ne pensa?

È interessante vedere come i ragazzi di oggi abbiano colto alcuni aspetti di questi personaggi e che li usino a loro volta per commentare la realtà. È un bene che questo accada perché ne tiene viva la presenza: d'altronde hanno superato i secoli perché sono riusciti parlare a tutti.

Dante è stato anche un profugo: esiliato, cacciato dalla sua Firenze per motivi politici. Cosa ci dice la Divina Commedia di questa vicenda?

L’esilio forzato dalla sua amatissima Firenze è stato uno dei suoi più grandi dolori. È stato proprio durante il suo lungo esilio che è riuscito a comporre la Divina Commedia, la sua opera più grande: talvolta è attraverso le sofferenze che si riesce a creare qualcosa di tanto immenso. Dante percepiva anche l’impegno poetico come impegno politico, volto a creare un “tanto di bene” per la comunità.

Un’opera in cui emerge un’assoluta integrità morale: sarebbe stato semplice compiacere i signori fiorentini per agevolare il suo ritorno in “patria”, ma decise comunque di restare critico.

Dante commise anche degli errori che gli impedirono il rientro, ma lo fece sempre perché volle vivere prendendo posizioni forti e mai da ignavo o da pavido. Nella Divina Commedia emerge il sentimento dell’esule, del profugo, ed anche questo arriva al lettore di oggi: le persone si identificano spesso con questa dimensione di estraniamento dalle loro vite.

Cosa differenzia Dante dagli scrittori moderni? Perché non esiste un “Dante” dei tempi moderni?

Nella storia talvolta nascono degli autori eccezionali che sono in grado di intercettare i valori di un’intera epoca. Ma oggi siamo talmente sommersi di informazioni, che è difficile distinguere le varie voci e riuscire a farsi sentire. Poi, Dante dava la priorità alla creazione della sua opera, piuttosto che alla promozione di sé, come fanno gli scrittori contemporanei.















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