Casa Pound, rione sotto choc: ridateci la nostra vita

Parte la raccolta firme: «Blindati sotto casa come negli anni di piombo. Ma qui abitano famiglie con bambini»


di Luca Marognoli


TRENTO. Diversi allievi della scuola di danza di Rossana Liberalesso, che il sabato si trovano per le prove, sono rimasti a casa. Gli abitanti di via Marighetto sono stati invitati dagli amministratori di condominio a portare le loro auto in luoghi più “sicuri”, mentre chi è sceso in strada nel pomeriggio si è trovato proiettato in un'atmosfera d'altri tempi. «Sono uscito di casa alle tre e sembrava di essere dentro un film sugli anni di piombo: le vie di accesso erano bloccate da blindati e in giro ci saranno stati 150-200 militanti... La macchina l'ho messa a 500 metri di distanza», racconta Francesco Marcovecchio, che risiede in una palazzina vicina a quella al numero 56, da poco diventata “CasaPound”.

Il giorno dopo “l'assedio” il quartiere vive in un'atmosfera di straniamento e inquietudine, come di chi si è svegliato dopo un brutto sogno e cerca di capire cosa sia realmente successo. Se si guarda ai fatti, si può dire che sabato pomeriggio non sia successo nulla. Ma c'è il timore diffuso che qualcosa possa succedere, se non oggi domani o fra due mesi. «Sì, abbiamo paura che quando cessi il clamore venga qualcuno, la notte, a buttare qualcosa», continua il condomino. «Proprio sotto la sala affittata a CasaPound c'è la centrale termica del nostro centro residenziale, “Fonte d'oro” che raccoglie 100 famiglie». Le quali hanno intenzione di far sentire subito la propria voce. «Partirà una raccolta firme», dice Marcovecchio. «Sono tra i revisori dei conti del condominio ed ho già sentito gli altri. Scriveremo una petizione chiedendo alle autorità competenti, questore e sindaco, di garantirci di tornare alla vita serena di prima. Non si può avere paura di uscire di casa per il rischio di rimanere coinvolti in uno scontro, con gli anarchici che arrivano da una parte e questi che li aspettano per menarli. Il questore promette vigilanza ma la risposta non può essere la militarizzazione della strada. Ci chiediamo se la presenza di CasaPound sia compatibile con il quieto vivere del vicinato. Se la situazione fosse sempre come quella di sabato, sarebbe inaccettabile».

Lo stato d'animo dei residenti oscilla tra l'ansia di trovarsi al centro della guerriglia e il timore di esporsi troppo a eventuali ritorsioni da parte dei nuovi “vicini”. Roberta passa davanti al numero 56 con i genitori, di ritorno dalla messa delle 10.30. «Loro credo siano tranquilli. Così almeno ci hanno detto. L'importante è che non siano provocati: questa è la nostra speranza. Siamo nelle mani di Dio. Via Marighetto è una zona molto tranquilla e ieri c'è stata una grande mobilitazione di forze dell'ordine: ma nel quotidiano non sappiamo cosa ci aspetti». La madre è meno pacata: «No, guardi, è meglio che vadano... Rovinano la fama del rione».

Dolores Parisi vive nello stesso stabile di CasaPound: «Non abbiamo paura per loro, ma che venga qualcuno a buttare bombe», dice chiaramente. «Come vicini? Li ho visti appena: buongiorno, buonasera».

Al civico 52, piano rialzato, abita Dino Mattarelli: «Preoccupati? Un po’ sì, anche se ieri è andato tutto bene. Speriamo... ma non dovevano lasciare che un centro simile si insediasse in una zona dove vivono bambini e famiglie. Fa presto a succedere l’incidente, la notte. Qui tutti si sono affrettati a mettere l’auto in garage». Al piano di sopra apre la porta Pasquale: «Non credo che faranno casino a casa loro, se lo fanno vanno fuori...», dice. La moglie è di un altro avviso: «Io invece sono preoccupata. Questo non è un luogo adatto dove stare, per il resto tutti sono liberi di manifestare come vogliono. Spero che facciano qualcosa per disdire il contratto. Noi abbiamo nipoti piccoli...».

Osservano quello che accade con pacata attenzione Roberta e Giorgio Basso, che vivono con i figli ventenni al civico 54. «É stato un fulmine a ciel sereno», spiegano. «Anche l’amministratore non era al corrente di CasaPound, perché loro hanno detto che avrebbero aperto un centro per studi universitari. Ci siamo resi conto della gravità della cosa il giovedì, quando abbiamo trovato il picchetto degli anarchici. C’è la libertà di pensiero e questi ragazzi si pagano l’affitto, a differenza di quelli del centro Bruno. La preoccupazione è che gli scontri partano proprio da altri che vengano qui a provocare: loro hanno già detto che risponderanno per le rime. Comunque è un’ironia della sorte che siano venuti proprio in via Marighetto, che era una piccola grande partigiana. Meglio sarebbe una sede in zona industriale: questa è una via residenziale, piena di bambini. Però confidiamo nelle forze dell’ordine».

Abita in zona anche Nerio Chemolli, storico macellaio di via Calepina, ora pensionato: «Questi problemi non ci sarebbero se tutti fossero rispettosi del prossimo. Ci sono questioni molto più importanti a cui pensare oggi, come quelle economiche». Si ferma a fare due chiacchiere con lui Francesco Danieli, di Ceda Immobiliare: «Rischi per il valore delle proprietà? Queste cose lasciano il tempo che trovano... Sarebbe peggio una moschea: a Gardolo quando ci fu il caso del centro islamico non si vendeva più niente».

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