«C’è più domanda che offerta Prodotti bio disincentivati» 

Il caso della settimana. La sociologa Francesca Forno: «Effetto di un sistema agroalimentare trentino concentrato  su vino e mele, e organizzato in cooperative. Ma oggi c’è più sensibilità, la gente vuole essere informata su cosa mangia»


VALENTINA LEONE


Trento. Tanta domanda, ma poca offerta. Si potrebbe sintetizzare così la situazione del mercato del biologico nel territorio e in particolare a Trento. Il dato è emerso in qualche modo all’interno del tavolo Nutrire Trento, coordinato dalla sociologa dell’Università di Trento Francesca Forno, e sembrerebbe confermare, indirettamente, anche il dato che ci vede fanalino di coda d’Italia per superfici agricole coltivate “bio”.

Professoressa Forno, a quanto pare anche in un territorio dove sembra esserci una spiccata sensibilità sul tema, nei fatti il biologico sembra relegato a piccole realtà virtuose. È davvero così?

Non posso confermare o smentire numeri, anche se mi risulta un po’ strano che la nostra provincia sia ultima, ma quello che so per certo è che c’è stato negli anni un incremento delle superfici coltivate a biologico. Altrettanto vero è che sono realtà in qualche modo limitate. È emerso proprio a una delle ultime riunioni del tavolo.

In che senso?

Trento riceve molte richieste per acquistare prodotti bio locali, per attivare mercati, ma il problema è che produttori disponibili non ce ne sono perché complessivamente sono pochi. C’è più domanda di prodotti che offerta.

Come mai questa asimmetria?

Va tenuto conto, a mio avviso, di due aspetti: il sistema trentino ha una produzione concentrata su mele e vino. Poi è organizzato in cooperative, e ciò negli anni ha garantito ai produttori una sostenibilità economica maggiore, ha garantito resilienza anche nei periodi di crisi. Dall’altra, da quello che sto studiando, se un produttore in questa cornice sta bene non sente la necessità di trovare altre vie, anche se potenzialmente il mercato biologico sarebbe più redditizio.

Se tra i produttori ci sono meccanismi che disincentivano, tra i consumatori cosa sta accadendo?

C’è maggiore sensibilità, una richiesta di essere più informati e coinvolti, dinamiche interessanti e comportamenti sempre più orientati alla riduzione dello spreco, anche se su questo aspetto rileviamo criticità anche in una realtà virtuosa come la nostra.

Alla questione del biologico si lega a doppio filo quella del prezzo. Un mito da sfatare o davvero qualcosa appannaggio di pochi?

Se compara un prodotto bio con un qualsiasi omologo, magari da discount, la differenza c’è. Va anche detto che il bio ha più rischi, richiede più manodopera e l’intera filiera è più costosa. Io però vorrei provare a fare un ragionamento: guardiamo il costo di un’insalata in busta, e moltiplichiamo il prezzo per il quantitativo. Sono sicura che la differenza con il bio si ridurrebbe molto. Mercati e gruppi d’acquisto, ad esempio, permettono di poter avere prodotti a un prezzo ridotto, perché si salta una parte della filiera.

In questi giorni è in corso la raccolta firme per il referendum sulla creazione del biodistretto a livello provinciale. Che ne pensa?

I cittadini sottolineano bisogni con i quali dobbiamo fare i conti. Non è così irrazionale o fantasioso che ci siano persone preoccupate su ciò che mangiano, perché il sistema di produzione ha un impatto sull’ambiente e sulla propria salute. Domande lecite, che hanno bisogno di una risposta. In generale c’è la richiesta di essere maggiormente informati.













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