Braccianti, le prove bruciate dal padrone 

Il registro delle ore lavorate nei campi è stato però fotografato. I giovani bosniaci: «Temevamo che nessuno ci credesse» 


di Francesca Quattromani


TRENTO. «Temevamo che nessuno ci credesse». Da un paese nel cuore dell’ Europa parlano i tre ragazzi stranieri al centro della storia di sfruttamento e degrado in un’ azienda agricola di Levico denunciata dalla Fai Cisl.

Ma le prove ci sarebbero. Ci sono delle foto ed anche un video che confermerebbero che cosa hanno passato, per anni, i giovani braccianti stranieri, il più vecchio oggi ha 35 anni il più giovane 22, al soldo di un contadino trentino. La foto è quella di un quaderno dove il datore di lavoro registrava tutte le ore che i giovani passavano in campagna: 270 al mese ma anche le 2. 293 ore al mese che uno dei ragazzi era arrivato a lavorare nel 2016. Il quaderno era il registro del contadino che li avrebbe sfruttati, questa la versione del sindacato. Una volta saldato il pagamento, 4,50 euro all’ora, però, il contadino quel quaderno lo bruciava “per scaramanzia”. Diceva così ai suoi braccianti il datore di lavoro, “per scaramanzia”, forse proprio per non passare dei guai, appunta la Fai Cisl.

Ma le foto ci sono. Così come c’è anche un video nel quale i ragazzi hanno ripreso tutto. C’è la campagna, ci sono le immagini delle roulottes dove erano costretti a vivere: fatiscenti, sporche, in condizioni igieniche precarie, senza acqua. D’estate dentro quelle lamiere si cuoceva, l’aria era irrespirabile; d’inverno si moriva di freddo. Concessa una doccia la settimana. Da un paese lontano, con la voglia di voltare pagina, andare avanti, parlano i tre ragazzi. «Chi ci avrebbe creduto? Per questo siamo andati avanti per anni». Un silenzio dettato dalla fragilità della condizione sociale e dalla paura di perdere il posto di lavoro. I tre ragazzi di quei soldi avevano bisogno per aiutare le famiglie in Bosnia. Si può resistere così a lungo? Sì, la riposta, perché la forza viene quando la necessità morde. Convincere i ragazzi a denunciare non è stato facile. Un loro connazionale ha segnalato il caso e la Fai Cisl è intervenuta portando la vicenda all’attenzione mediatica. «Sapevamo di non vivere bene – proseguono i ragazzi- Sapevamo anche da dove venivamo, le difficoltà lasciate. Non potevamo immaginare di arrivare ad un simile livello». Katia Negri, di Fai Cisl, raccoglie le parole dei giovani. Lo fa dopo la pubblica denuncia del sindacato di una situazione al limite e lo fa dopo aver raccolto decine di testimonianze di solidarietà ai braccianti stranieri da parte della gente Trentina. “Una vergogna” la frase più frequente, ma anche “Non pensavo che in Trentino potessero accadere simili cose”. La sindacalista: «Un caso raro che però deve servire: chi vive simili situazioni denunci».













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