Boldrini: «Diritto d’ingerenza sui diritti umani violati»

La presidente della Camera attacca l’Europa e i governi di centrodestra


di Paolo Cagnan


TRENTO. Parla al cuore e con il cuore ispessito da ciò che ha visto, Laura Boldrini. Messo da parte qualsiasi aplomb diplomatico legato al ruolo di presidente della Camera, a Trento veste i panni della sua vita precedente, 24 anni alle Nazioni Unite di cui 15 all’Alto commissariato per i profughi. Lancia stilettate micidiali ai governi di centrodestra (“La Libia insegna che fare scambi e affari con i dittatori non porta bene”), all’Europa dei tecnocrati, alla comunità internazionale che nelle emergenze umanitarie interviene sempre e comunque troppo tardi.

Il tema del festival le sembra ritagliato su misura, non così la sala Depero: troppo piccola per accogliere chi è venuto qui ad ascoltarla. Restano fuori in molti: alcuni si ritrovano in sala stampa, altri nei sotterranei in roccia di Piazza Dante, altri ancora si spostano sui maxischermi di piazza Duomo, anche sotto la pioggia.

Introdotta da Tiziana Ferrario, Boldrini affronta subito il tema cruciale, del festival e del suo intervento: la sovranità degli Stati prevale sui diritti dei singoli? La risposta è secca, affilata: no. Non sempre, perlomeno. Si può, si deve mettere in discussione quando si trata di difendere la dignità della persona. “La vera domanda, dunque, non è se sì o no, ma con quali modalità”.

Balcani, Iran e Irak, Afghanistan, l’Africa con Angola Ruanda e Congo, le Repubbliche del Caucaso con i loro focolai di tensioni dimenticate: Boldrini le ha viste tutte, negli ultimi vent’anni. E anche per questo ora dice che «le migrazioni sfidano la sovranità degli Stati, dimostrando da un lato quanto i confini possano essere labili, dall’altro chiamando in causa il diritto internazionale».

Perché il principio del non respingimento, del diritto all’asilo, è «sacrosanto». L’Italia è stata condannata dalla Corte europea proprio per questo, e Boldrini non le manda a dire: «Sino a qualche tempo fa, chiunque raggiungesse le nostre coste l’Italia con mezzi di fortuna era bollato come clandestino, termine sprezzante e stigmatizzante. Certo, in molti hanno capito che cavalcare la paura sarebbe stato molto più facile. E utile».

La comunità internazionale, ed è questo un altro tema caldo, deve poter reclamare - per Boldrini - il diritto d’ingerenza umanitaria: «Perché non farlo è il cinico paravento usato per celare un egoismo insopportabile. A fronte della mortificazione della vita umana, si può e si deve intervenire, a due condizioni. La prima, che ci sia un’applicazione scrupolosa del diritto internazionale. La seconda, che sia ben chiaro che l’intervento non deve essere per forza armato».

Nulla contro i militari in missione, spesso fondamentali per garantire la sicurezza dei convogli e dei rifugiati, «ma ognuno fa il suo mestiere. Gli interventi umanitari spettano alle organizzazioni, troppo spesso interventi armati sono stati spacciati per altro».

La comunità internazionale seduta, ripiegata su se stessa. E l’Europa?

«E’ solo economica, un’entità sterile e senz’anima. Sinonimo di sacrifici e tagli, anche ai sistemi sociali più deboli».

Non ci si può chiamare fuori, non più.

«A Dacca, 1.100 operai sono morti sotto le macerie della fabbrica dove lavoravano per poche decine di euro al mese, al servizio anche e soprattutto di aziende occidentali. La sovranità è del Bangladesh, certo. Ma se fosse anche degli stati le cui aziende delocalizzavano per portare a casa quei costi del lavoro definiti eufemisticamente bassi?»

La lista dei conflitti di lunga data, in gran parte dimenticati, non si accorcia mai. Ce ne accorgiamo, in Italia?

«Da noi si discute dell’ultima battuta del politico di turno. Energia, ecosistemi, migrazioni, scienza: sui grandi temi, il nostro Paese dov’è, dove?»

Il Mediterrano, culla di civiltà, è un cimitero di croci. Quante occasioni sprecate, dice Boldrini. Quante cose che si potrebbero fare. Per noi, ma soprattutto per chi verrà dopo.

«Ora supportiamo la Primavera araba e favoriamo il grande cambiamento che ha portato. Non esportando la nostra democrazia, ma aiutando quei Paesi a costruirsi il proprio scheletro istituzionale».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano