Alpinismo: Fitz Roy, drammatica spedizione trentina / Foto

L'impresa del trentino Massimo Faletti sulla mitica parete della Patagonia con la spalla rotta insieme ai compagni Hans Goetz e Francesco Salvaterra


Luca Pianesi


TRENTO. Patagonia, Argentina: il Fitz Roy è uno dei monti più famosi e mitici da affrontare per uno scalatore. Non è altissimo, 3405 metri, ma ha una parete di roccia granitica tra le più difficili e lunghe, circa 2300 metri di sviluppo, e le condizioni climatiche spesso avverse, il nome originario Cerro Chaltèn significa "montagna che fuma" per la quasi costante presenza di nuvole che lo sovrastano, l'hanno reso una specie di totem.

Ci sono varie vie per scalarlo, ma Massimo Faletti, Hans Martin Götz e Francesco Salvaterra hanno deciso, qualche settimana fa, di attaccarlo dalla via più lunga, che dal 1978, data della prima spedizione che l'ha affrontata con successo, ad oggi è stata compiuta solo per sei volte. Le esperte guide alpine Götz, di Arco, e Faletti, di Povo, hanno accettato la sfida di portare al loro seguito anche Francesco Salvaterra, giovane ventenne di Tione che «sapevamo già essere un grande scalatore - queste le parole di Faletti - ma si è rivelato anche molto generoso e capace. E' stato lui, infatti, a caricarsi il mio zaino ed il mio equipaggiamento quando nella discesa sono stato vittima di un brutto incidente».

Ma andiamo con ordine. I nostri sono partiti dal villaggio di El Chaltèn e dopo 5 ore e mezza di avvicinamento hanno affrontato i primi 800 metri di parete. Bivacco notturno su una terrazza granitica naturale, e con le prime luci sono ripartiti per altri 1000 metri di scalata. Il terzo giorno gli ultimi 500 metri e per mezzogiorno i tre hanno raggiunto la vetta.

«La discesa si è rivelata veramente tosta - ci ha rivelato Faletti - il granito non sempre è compatto e c'erano vari punti ghiacciati. Una volta superata la parte più in alto abbiamo trovato anche altri gruppi di scalatori che facevano tragitti e salite più brevi e facili, e qualcuno di questi si è fatto scappare un sasso. Purtroppo nella traiettoria di quel macigno di granito c'ero io, e solo il mio angelo custode sa come ho fatto a non prenderlo in testa.

La pietra è precipitata sulla mia spalla, spaccandomi la scapola. Ancora, però, avevamo 200 metri di cordata e quindi ho stretto i denti e sono sceso. Una volta arrivati in fondo alla parete, sul ghiacciaio, sono svenuto.

Hans mi ha rianimato e Francesco si è caricato il mio zaino e, senza controllare la ferita che sentivo perdeva molto sangue, ci siamo rimessi in marcia senza sosta. Da quel momento ci sono volute 13 ore per arrivare al villaggio, dalle 8 di sera alle 6 di mattina. Una notte interminabile, anche perché sono stato colto più volte dai crampi e solo l'esperienza di Hans, che mi ha dissetato colando la neve, ci ha permesso di procedere con un buon ritmo. Una volta arrivati al villaggio mi hanno portato in ospedale e dopo i primi soccorsi sono tornato a Trento. Ora devo stare fermo per 45 giorni, ma il mio zaino è ancora lì e non vedo l'ora di tornare a recuperarlo».

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