storia

A Trento “riappare” la villa romana di Orfeo: tolta la recinzione che oscurava il sito

La copertura del mosaico, le porte brunite con le scritte e le altre strutture soprastanti lo scavo, sono finalmente ben visibili. In programma altri lavori: nel 2023 il sito archeologico potrebbe essere aperto al pubblico, dopo oltre 21 anni di attesa


Claudio Libera


TRENTO. Nella giornata di venerdì, la ditta incaricata dei lavori di asfaltatura e sistemazione del marciapiede e del retro della pensilina degli autobus su via Rosmini, che si affaccia su ciò che è conservato della villa romana di Orfeo, ha completato i lavori. Così tutta la copertura del mosaico, le porte brunite con le scritte e le altre strutture soprastanti lo scavo, sono ora ben visibili in quel punto molto trafficato della città anche per l’alto numero di mezzi urbani che hanno una delle stazioni più gettonate.

Consegnato questi primo lotto di lavori, eseguiti dalla ditta Pilati, adesso toccherà alla Soprintendenza alle belle arti provvedere ai necessari ulteriori lavori di restauro del grande mosaico lì custodito, poi si procederà all’allestimento museale e se non vi saranno altri intoppi, per l’inizio del 2023 il sito archeologico potrebbe essere aperto al pubblico, dopo oltre 21 anni di attesa. Infatti, prima ci sono state le infiltrazioni sul mosaico raffigurante Orfeo. Poi i reperti che sono affiorati e che hanno bloccato per altri due anni i lavori di riqualificazione. Sono in questo modo passati vent’anni dalla chiusura di uno dei gioielli della Tridentum sottorranea, la Villa romana di via Rosmini, ma ora si intravvede finalmente la luce che consentirà, con il completamento dei lavori, di potere restituite alla città il sito archeologico.

Per chi ha più di quarant’anni, il ricordo della Villa romana meta delle visite con la scuola, è ben presente; però, dal 2000, il sito archeologico è inagibile, perché la copertura in muratura e vetro che custodiva il prezioso mosaico raffigurante al centro Orfeo che incanta le belve, era obsoleta. «In quell’anno – spiegava il soprintendente Franco Marzatico - c’era stato il passaggio del sito dallo Stato alla Provincia e quest’ultima verificò che non c’erano più le condizioni di sicurezza per le vestigia conservate e nemmeno i requisiti per aprire il sito al pubblico. Fu così che si rese necessario un progetto per la riqualificazione dell’area archeologica e solo nel 2013 venne finalmente approvato il progetto esecutivo, grazie al finanziamento di 2 milioni di euro per i lavori». Il problema è che, nel momento in cui si è iniziato a scavare, ci si è trovati di fronte a nuovi ritrovamenti. «Nel 2015 – aggiungeva allora Marzatico - sono partiti gli scavi per i sondaggi esplorativi ed è così che sono emersi resti di una piccola necropoli, murature, un pozzo ed un sistema di condutture per il riscaldamento dell’aria. La necropoli venuta alla luce conservava sette scheletri, scoperta che fece capire che, se la villa è databile tra il I e II secolo dopo Cristo, in un’epoca successiva, altomedievale, quell’area fu abbandonata dai residenti e divenne un cimitero. Emersero reperti importanti come intonaci dipinti, frammenti di anfore, pesi di telaio. A questo punto si rese necessaria una variante del progetto, perché i sostegni previsti per reggere la copertura, sarebbero andati ad interferire con la necropoli. Si è così dovuto affidare una variante del progetto all’architetto Claudio Salizzoni, nel giugno del 2017».

Il progetto precedente prevedeva di costruire sopra il sito archeologico una cupola ad esedre, che riprendeva il motivo del mosaico, che avrebbe permesso di vedere il pavimento dall’alto. L’accesso al piano sotterraneo (la villa è al di sotto di due metri dal livello stradale) sarebbe stato attraverso un ascensore, situato sul lato sud dell’area. «Con l’incarico della variante - affermava l’architetto Salizzoni - era stato chiesto di rivedere la collocazione delle colonne su cui reggere la copertura. Da parte del Comune, inoltre, i suggerimenti erano stati di evitare criticità che la cupola in vetro avrebbe potuto rappresentare, per una manutenzione complessa ma anche per eventuali vandalismi».

È così che si arrivò al nuovo progetto, con le varianti di importi per la copertura, approvato dalla determinazione della Soprintendenza dei beni culturali del 20 dicembre 2017. L’entrata visibile accanto alla torre su Santa Margherita, è un portale in corten, acciaio brunito che è stato utilizzato anche per delimitare l’area sul fronte strada. Il portale è sul lato nord est dell’area, a ridosso dell’edificio di via Santa Margherita che ospitava il Provveditorato e successivamente la sede della Fondazione De Marchi.

I resti della villa sono emersi dopo i bombardamenti del 2 settembre del 1943 che distrussero Villa Consolati, costruita con ampio giardino circostante, proprio sull'area della domus. Nel 1954 si iniziò a scavare, sotto la supervisione della Soprintendenza delle antichità di Padova. La villa, costruita extra moenia tra il I ed il II secolo d. C. è caratterizzata da una pianta rettangolare con un pavimento a mosaico di 56 metri quadrati che raffigura scene del mito di Orfeo che incanta le belve.













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