il processo 

Ragazzo annegato, i familiari chiedono il risarcimento

RIVA. Si è aperta ed immediatamente chiusa, ieri in tribunale a Trento, la prima udienza del procedimento civile avviato dai familiari di Abraham Kamenan - il ragazzo, originario della Costa d’Avorio,...



RIVA. Si è aperta ed immediatamente chiusa, ieri in tribunale a Trento, la prima udienza del procedimento civile avviato dai familiari di Abraham Kamenan - il ragazzo, originario della Costa d’Avorio, morto annegato, nell’estate del 2013, nelle acque del lago di Garda - nei confronti della Comunità di Valle, che ha in gestione, su incarico delle amministrazioni comunali, il servizio di “Spiagge Sicure”, della ditta G&P Servizi, che per conto della stessa Comunità dell’Alto Garda e Ledro espleta il servizio di controllo bagnanti sulle spiagge rivane, e del bagnino che era in servizio, ai Sabbioni, in quel tragico pomeriggio di luglio.

I legali della famiglia Kamenan, all’epoca residenti a Trebaseleghe, hanno presentato una richiesta di risarcimento danni di circa mezzo milione di euro ma lo hanno fatto rivolgendosi al tribunale di Trento. Foro sbagliato, essendo la vicenda giudiziaria di competenza territoriale del tribunale di Rovereto (la società G&P Servizi ha sede ad Arco e il dramma si è consumato nelle acque del lago di Garda, a Riva). L’udienza di ieri, dunque, è servita solamente ad accertare la competenza roveretana e a disporre il trasferimento della causa ad altro tribunale, che a partire da questo momento ha tre mesi di tempo per la riassunzione del procedimento e per fissare, così, la data della nuova udienza.

La vicenda, in realtà, ha già vissuto un primo iter giudiziario. La Procura di Rovereto, infatti, aveva aperto un fascicolo, anche in seguito alla denuncia del padre del ragazzo, ma dopo le indagini il Pm aveva chiesto (ed ottenuto) l’archiviazione del fascicolo non ravvisando alcuna responsabilità da parte di chi prestò i primi soccorsi.

La difesa della G&P Servizi, assunta dall’avvocato di Trento Paolo Dal Rì, punta a ribadire anche in sede civile (dove, comunque, è stata citata a giudizio anche la compagnia assicurativa) la non responsabilità dei propri assistiti nella drammatica morte del ragazzo quindicenne.













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