Tomasi, il pittore che dipinge  senza guardare con che colori

Pergine. Con gli occhiali portati sulla punta del naso, Enrico Tomasi ricorda Mastro Geppetto e lo ricorda ancora di più quando racconta come siano i colori a scegliersi per finire sui suoi quadri,...


Daniele Peretti


Pergine. Con gli occhiali portati sulla punta del naso, Enrico Tomasi ricorda Mastro Geppetto e lo ricorda ancora di più quando racconta come siano i colori a scegliersi per finire sui suoi quadri, di come scolpisca il colore nel suo stile materico e come si emozioni nelle ore notturne quando guarda le sue opere prendere forma. Enrico Tomasi ha creato il suo studio al piano terra della casetta unifamiliare nella quale abita in cima al paese di Susà: l'ultima abitazione della salita che porta al fabbricato abbandonato degli ex Artigianelli. Un contesto ideale per chi vuol dare libero sfogo alla fantasia.

«Molto stimolante per uno come me che ha sempre interpretato le cose con fantasia. Il mio estro è stato favorito dal professor Castagna che alle medie non ha mai ostacolato il mio realizzare fantasioso. Poi il professor Paoli che mi ha iniziato al disegno tecnico durante le scuole superiori». Com'è nata la passione per la pittura? «Non è una passione, ma una cosa istintiva. Senti dentro di te che lo devi fare e lo fai». Come definirebbe la sua pittura? «Informale ragionata. Informale perché è libera non ha limiti o confini; ragionata perché so dove metto il colore». Ci spiega l'idea che sia il colore a scegliersi e non lei a sceglierlo. «A fianco della tela ho il tavolo con i colori che prendo con la mano senza guardare: è lui che ha voluto finire sulla tela ed io non faccio altro che posizionarlo come più mi piace».

Enrico Tomasi ha esposto più volte in Sala Majer a Pergine, poi altre personali a Levico, Mattarello, Borgo, a Palazzo Thun a Trento, al Centro d'Arte “La Fonte” di Caldonazzo e a Merano. Dopo i lavori giovanili, una lunga sosta: quasi trent’anni. «E’ la vita. Lavoravo di giorno e dipingevo alla sera e così non avevo più una vita sociale, poi mi sono sposato ho avuto le mie figlie e con loro ho iniziato ad avvicinarmi alla ginnastica artistica fino a diventare istruttore. Poi un giorno sono entrato in un negozio di colori ed è stato come se non avessi mai smesso». Si ricorda i suoi primi disegni? «Mio papà faceva il muratore e portava a casa i disegni di quello che aveva costruito. Li prendevo e andavo a casa dai miei nonni dove c'erano matite e righello e li rifacevo a modo mio». Un tema ricorrente dei suoi quadri sono gli intrecci. «Per me sono istintivi, ma pensandoci potrebbero riportarmi inconsciamente alla mia attività di maestro di ginnastica artistica. Sa quante volte le allieve mi hanno chiamato per togliere i nodi che si facevano nei nastri d’allenamento? ».













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