Sergio De Carneri ha tradotto in noneso l’Infinito di Leopardi

Valle di non. Per i duecento anni dal componimento de “L’infinito”, immortale poesia di Giacomo Leopardi (Recanati 1798 – Napoli 1837), un quotidiano nazionale ha lanciato una sorta di campagna per...



Valle di non. Per i duecento anni dal componimento de “L’infinito”, immortale poesia di Giacomo Leopardi (Recanati 1798 – Napoli 1837), un quotidiano nazionale ha lanciato una sorta di campagna per ospitare la versione di questa famosissima poesia tradotta nei vari idiomi e dialetti di cui è ricca la nostra penisola. In questa impresa si è cimentato, con successo, l’avvocato ed ex parlamentare Sergio de Carneri, uno dei paladini nella battaglia per il riconoscimento della ladinità del noneso. De Carneri, che risiede in val Lagarina ma con solide origini clesiane, ha riscritto l’Infinito rispettandone letteralmente i concetti e la metrica usando quella che lui definisce la “lingua nonesa romancia”. Un bel esercizio letterario ed anche la prova, se ce ne fosse bisogno, della ricchezza espressiva del noneso, un idioma che nella sua storia secolare vanta fior fior di poeti (Guglielmo Bertagnolli, Bortolo Sicher, Pietro Tomaso Scaramuzza, tanto per citarne alcuni) e letterati con una ricchezza espressiva e di vocaboli sia che trova anche oggi molte voci poetiche che vi si cimentano. Ma ecco l’Infinito, alla nonesa.

L’Infinito

Semper cjar el m’è sta sto doss solàgn,/sto cesón, che scasi tuta/la part estrema del ziel, el scoerta via. /Ma sentà gio’, e sperclànt outra de chel,/stravaniant en tra mi, me configuri spazi /senza confin, enciun rumor dal mondo/ e la paze pu fonda, ‘nzì che per poch/el còr nol se stremiss./E can che senti ch’el vent soflar en te plante,/mi sta paze enfinida a sti sussuri, von compagnant,/e m’ vegn en ment l’etèrn, e le morte stagion,/e chela vivant de ancòi, e la vos de ela. /Enzì, en sti spazi enfinidi, se perd el me pensar. /E smarirme m’è douz ent a sto mar. G.E.













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