Sanità

I professionisti di psichiatria: «Non siamo garanti dell’ordine pubblico»

La lettera è stata sottoscritta da 92 professionisti dopo il delitto di Rovereto



 TRENTO. «Da un po' di tempo a questa parte, siamo molto preoccupati per la nuova deriva che si sta diffondendo nella società e in gran parte delle istituzioni per cui ci si aspetterebbe che i Servizi di salute mentale si facessero garanti dell'ordine pubblico, prevedendo, prevenendo e contenendo il compiersi di eventuali reati tutte le volte in cui si ipotizzi una minaccia in tal senso». Lo scrivono in una lettera 92 professionisti delle Unità operative di psichiatria del Dipartimento trasmurale salute mentale dopo il delitto di Rovereto dello scorso 5 agosto.

«Fino a prova contraria, le persone sono libere di scegliere, anche di compiere il male, e va loro restituita la responsabilità delle proprie azioni. Se non accettiamo questo, si corre il rischio (purtroppo già realtà) di delegare in toto ai Servizi di salute mentale la gestione di problemi che non possono trovare soluzioni unicamente nella psichiatria», aggiungono i 92 professionisti. Parlando del caso del delitto avvenuto il 5 agosto, aggiungono i sottoscrittori della lettera, «sarà necessario acquisire maggiori informazioni per comprendere appieno cosa sia accaduto quella notte e se effettivamente si sarebbe potuto fare qualcosa per evitarlo. Quello che è certo, però, è che l'autore del reato viveva una innegabile condizione di forte disagio sociale e, con tutta probabilità, esistenziale, dal momento che si trovava in un paese straniero, senza fissa dimora, senza lavoro, separato da moglie e figli collocati altrove. Se partiamo dal presupposto che, non tutti, ma molti dei reati maturano all'interno di contesti di grande disagio sociale, di povertà a tutti i livelli, di alienazione che genera devianza, una delle risposte per provare a contenere la criminalità che da essi scaturisce è quella di agire su questi contesti per modificarli e ridurre in tal modo i rischi di potenziali degenerazioni».













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