“Clisium” ha un padre: il professor Bianchini 

Storia e innovazione. Grazie alla ricerca approfondita del paleografo giudicariese il 24 maggio  sarà degustato il nuovo vino del Chiese. Il primo documento che ne parla risale al 6 maggio 1307


Stefano Marini


Valdaone. Quando si pensa alla tradizione enogastronomica della Valle del Chiese il vino non è certamente fra i primi prodotti a saltare in mente, eppure qui la vite viene coltivata da secoli, come dimostra una ricerca storica sostenuta dall'associazione Culturnova, l'associazione che il prossimo 24 maggio presenterà proprio il vino del Chiese.

"Clisium", così si chiamerà il nuovo vino, un chiaro riferimento latino al fiume Chiese, il corso d'acqua che dà il nome alla valle che a contribuito a scavare nel lungo scorrere dei secoli. A orientare Culturnova su questa scelta è stato il professor Franco Bianchini, il più eminente paleografo giudicariese. Sì, perché come si confà ad un'associazione che punta a sviluppare sia le colture che la cultura, dietro al progetto "Clisium" c'è anche una raffinata ed approfondita ricerca storica condotta proprio dallo stesso Bianchini. Il professore si è occupato di andare alla radice della diffusione della vite in Valle del Chiese e lo ha fatto usando la sua scienza, cioè l'approfondita consultazione delle antiche pergamene in latino medioevale che raccontano la storia di questi luoghi.

712 anni di storia

Per trovare il primo riferimento documentale al vino in Valle del Chiese Bianchini è dovuto andare indietro di ben 712 anni, e più precisamente al 6 maggio 1307 quando sotto il portico della chiesa di San Bartolomeo vennero stilati gli statuti del paese di Daone. Al loro interno è possibile ritrovare precise sanzioni contro i furti d'uva, segno che all'epoca la vite doveva essere piuttosto diffusa per meritarsi regole specifiche atte a tutelarne la coltivazione. Lo conferma anche l'ampiezza dei riferimenti scoperti da Bianchini che coprono l'intera valle. Ad esempio fra il 1390 e il 1393 fra Condino e Brione viene istituita un'unica taverna comunale con regole specifiche, e il 28 febbraio 1445 si fa lo stesso a Darzo. Nel 1480 a Storo si stabiliscono sanzioni per coloro che danneggiassero i vigneti altrui col passaggio dei propri armenti, per i ladri d'uva e per gli osti che falsassero le misure del vino venduto. Il tema dei furti d'uva torna anche il 18 marzo 1483 a Strada, dove un certo Nicolò Benozzi denuncia di esserne stato vittima, ma le tracce della coltivazione e del consumo di vino nel Chiese continuano nei secoli e si ritrovano a Roncone e Fontanedo, Agrone, Praso e Sevròr, Creto e persino fra le alture di Castel Condino.

Un prezioso recupero

La ricerca di Bianchini prova che la vite in Valle del Chiese vanta radici davvero profonde, la sua coltivazione in loco è infatti riscontrabile almeno dal basso medioevo, epoca cui risalgono le prime fonti scritte disponibili. Ciò sta a dimostrare come il vino e con esso il "Clisium" non sia affatto un prodotto "alieno" al territorio chiesano. Al contrario, esso rappresenta il recupero di una tradizione antica e mai del tutto interrotta, che riallaccia i fili col passato adattandosi ai tempi grazie alle moderne tecniche agronomiche messe a disposizione dalla Fondazione Edmund Mach e alla passione dei soci di Culturnova.













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