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Foto perfette e relazioni fittizie: le trappole per i giovani sui social

I ragazzi cercano amicizie online piuttosto che dal vivo, ma questo è solo uno dei problemi nella società interconnessa

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Astrid Panizza Bertolini


TRENTO. La vita dei giovani di oggi è diversa da quella dei loro padri e lontana anni luce da come vivevano la giovinezza i loro nonni. Dal boom economico degli anni '60, infatti, non ci si è mai fermati. La radio prima, la televisione poi, e a seguire ogni sorta di strumento elettronico, fino ad arrivare, oggi, allo smartphone, che racchiude un po' tutto ciò che c'è stato nel passato.

È proprio questo strumento quello più utilizzato dalla generazione Z, che abbraccia i nati dopo il 2000, rappresentati come i figli della rete, dei tablet e dei telefoni cellulari più moderni. Un telefono capace di navigare in Internet trova rete in ogni luogo, in ogni momento e ad ogni condizione. Spesso queste variabili possono creare una situazione in cui i giovani, pur rimanendo in contatto con gli amici, lo fanno solo tramite uno schermo.

«Lo stare insieme dei ragazzini e dei bambini è diverso da quello del passato perché la vita è cambiata - spiega la presidente dell'Ordine degli psicologi del Trentino Roberta Bommassar - non la descriverei come una generazione che non ha rapporti con gli altri. I canali social rappresentano un aumento della realtà che si aggiunge a quella degli amici che si incontrano a scuola. Si vive una vita più complessa, quello sì e c'è una socialità aggiuntiva rispetto a quella di prima, che rende più rischioso il fatto che i giovani diventino dipendenti dalla rete. È difficile che i ragazzi riescano a stare da soli senza social, che permettono un'apertura all'altro in maniera costante e invadente. Ciò può aumentare il rischio di lasciarsi andare esprimendo cose che in un contesto di presenza non si direbbero. Con i social, su Internet, emerge la parte istintiva di noi e non ci sono più filtri».

Il problema , secondo la dottoressa Bommassar, va affrontato in primis dai giovani, che devono trovare il coraggio di confrontarsi con il mondo reale, supportati dalla famiglia e dalla scuola e, nel caso di problematiche più evidenti e preoccupanti è giusto che ci si rivolga ad un esperto. È proprio in quest'ultimo caso, quando i giovani cominciano a chiudersi in se stessi e non trovano una via d'uscita, che interviene Serena Valorzi, psicologa esperta in prevenzione e trattamento delle nuove dipendenze come quella da internet o da videogiochi e abuso di cellulare e dell' impatto cognitivo ed emotivo delle nuove tecnologie.

«Le ore che vengono dedicate allo schermo sono ore rubate al tempo di connessione dal vivo - racconta Valorzi - Quando siamo connessi faccia a faccia comunichiamo con il corpo e a livello cerebrale si attivano delle zone differenti. È più facile sintonizzarsi, è allora che avviene la secrezione di ossitocina, l'ormone capace di creare il legame affettivo. Sicuramente costruire i legami sui social è un'illusione».

«Certo è vero che la comunicazione online può dare una sensazione di facilità nella costruzione di relazioni, cosa che invece non avviene dal vivo, ma sono relazioni fittizie - ha aggiunto - Quando siamo realmente davanti ad una persona, il pudore che ogni tanto interviene ci regola sulla comunicazione, sondiamo il terreno prima di raccontare cose private, il processo di conoscenza è lento, mentre attraverso uno schermo è più facile aprirsi nell'immediato, saltando la fase di conoscenza. Quelle però, non sono relazioni vere, stabili e durature». I giovani inoltre, secondo la dottoressa Valorzi, sui social vedono corpi perfetti, in realtà modificati grazie a filtri e programmi specifici, così come persone che si lanciano in avventure al limite dell'incredibile.

«Tutto ciò crea in loro un effetto spesso depressiogeno e ansiogeno - continua la dottoressa - che dà la sensazione ai più fragili di non andar bene così come si è. È difficile definire un'identità propria e accettare se stessi, soprattutto durante l'adolescenza. Condizione comune in questi casi è anche la dismorfofobia, ovvero la non accettazione di se stessi nemmeno quando la foto che si produce viene modificata. E non si pensi che questa condizione rappresenti solo la fetta di giovanissimi in età scolastica, si estende a più fasce di età, arrivando anche ai trentenni».

Non c'è una soluzione facile, a portata di mano e che possa risolvere tutto in poco tempo. «In maniera concreta - continua Valorzi - si dovrebbe aiutare i ragazzi ad avere più possibili occasioni di socialità: meno uno ne ha e più fa fatica a confrontarsi con un suo pari, così cerca online. Poi sicuramente siamo noi adulti che dovremmo dare il buon esempio, sembrano frasi fatte ma è la realtà. Noi stessi siamo rapiti dai social, che ci danno l'illusione di rilassarci quando in realtà non è così. Siamo quindi noi, in primis, quelli che devono lasciare lo smartphone lontano e parlare con i nostri figli, aiutarli a comprendere le trappole dei social, senza timore e vergogna, affrontando anche argomenti come la distorsione dell'affettività data dalla pornografia, di facile accesso sul web senza limiti di età».













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