il caso

Il pedagogista: «Cellulare in classe? Più coinvolgimento e meno repressione»

Dario Ianes (Centro studi Erickson): "La circolare del ministro è un'espressione di una mentalità autoritaria e sanzionatoria"



TRENTO. «Quella circolare è un'espressione della mentalità autoritaria e sanzionatoria del nostro ministro. Penso che anziché agire in negativo per cercare di reprimere la distrazione, dovremmo lavorare per coinvolgere attivamente l’interesse degli studenti nelle lezioni».

È questo, in sintesi, il pensiero di Dario Ianes, docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento sulla circolare del ministro dell'istruzione Valditara che stoppa i telefonini a scuola.

Professor Ianes, cosa ne pensa di questo documento?

Un gesto politico che segue la linea della punizione anziché aprire un serio dibattito sulle opportunità offerte dalle tecnologie digitali. Attraverso il web possiamo reperire un’informazione in pochi secondi e fare lezione in modo innovativo, come ad esempio una visita virtuale ai musei o tramite l'esplorazione geografica di regioni lontane in pochi clic. Mi pare inoltre che ci stiamo scordando di ciò che ci ha insegnato la pandemia, dove le nuove tecnologie per la didattica a distanza hanno permesso alla scuola di poter continuare le proprie attività.

La circolare permette comunque delle opportunità d’uso a scopi didattici.

Sono delle eccezioni che condivido ma penso che da sole non bastino: andrebbero invece rinforzate, anche con della strumentazione uniforme offerta dalla stessa scuola per compensare le situazioni di disparità che si creano quando studenti con diverse condizioni economiche devono portare i propri device a scuola.

Lei è molto critico anche nei confronti della relazione “Sull'impatto del digitale sugli studenti”, elaborata della commissione istruzione del Senato e allegata al documento.

In essa si affianca l'uso di questi dispositivi, destinato «nella maggior parte dei casi a degenerare in abuso», all'assunzione di cocaina. Afferma inoltre che tutte le ricerche internazionali negano l’efficacia delle nuove tecnologie nell'insegnamento, e parla di «giovani schiavi resi drogati e decerebrati»: il tutto senza alcun riferimento scientifico.

Lei vede un frequente uso e abuso del telefonino?

I ragazzi lo usano in qualsiasi contesto di noia, come dal resto gli adulti. Dipende anche dalla scuola e in certi casi dal singolo decente. Ci sono correnti di pensiero diverse, ad esempio sull'uso durante la ricreazione. Ma quello che tengo a far notare è che si parla sempre di depositarlo, di spegnerlo, di sanzioni, è tutta una rincorsa al negativo. Dovremmo invece puntare a un maggior coinvolgimento attivo dei ragazzi nelle lezioni. Se in queste circostanze poi uno dovesse mandare un singolo sms nell'arco di un'ora per necessità, è davvero la fine del mondo?

I problemi della scuola per lei sono altri.

Sono tanti e annosi: pensiamo alla formazione dei docenti, spesso privi delle necessarie capacità relazionali verso i ragazzi, soprattutto alle superiori. Assistiamo poi a grossi buchi nelle competenze, alla mancanza di empatia e di supporto, in alcuni casi ad atteggiamenti addirittura autoritari. Per non parlare dell’edilizia. Penso che il ministro dovrà prima o poi affrontare queste questioni.

I.P.

 













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