«Le variazioni sono nocive ma non catastrofiche» 

Le palafitte. Il sovrintendente Franco Marzatico interviene sulla conservazione del sito «È impossibile mantenere tutto immutabile, l’importante è non reiterare spesso i cambiamenti»


Katia Dell’eva


Ledro. Chiamata in causa, nei giorni scorsi, da Paolo Barbagli e dalla sua associazione ambientalista “Amici delle Terra”, la Sovrintendenza dei Beni Archeologici provinciale tranquillizza sulla situazione di abbassamento delle acque del lago di Ledro e sui possibili danni al sito delle Palafitte. «Nessun tipo di esposizione, anche limitata nel tempo, di questi pali risalenti ad oltre 4mila anni fa, può dirsi un bene, questo è chiaro» - spiega Franco Marzatico, a capo della Sovrintendenza - «ma non dobbiamo gridare alla catastrofe o al danno irreparabile». Se insomma, la recente siccità del lago, dovuta ai lavori di manutenzione nella centrale idroelettrica di Riva, che è appunto alimentata dal bacino ledrense, è stata tutt’altro che un toccasana per il sito archeologico, le circostanze avrebbero potuto essere peggiori e, con un repentino ristabilimento del livello delle acque, nulla dovrebbe subire lesioni. «Purtroppo, conservare un qualsivoglia bene archeologico o artistico in condizioni immutate e immutabili è pressoché impossibile» - ci chiarisce Marzatico - «basti pensare che oggi, una delle grandi sfide in questo senso, sono i cambiamenti climatici a cui assistiamo costantemente: una semplice variazione di temperatura o di umidità comporta sempre un “danno” al bene, ma, è chiaro, non tutti i danni sono di egual portata». Condizioni ideali, in poche parole, sarebbero quelle di un contesto costante e immutabile anche per le Palafitte di Ledro; condizioni, tuttavia, forse impossibili da attuare. «È chiaro, allora, che un abbassamento del livello delle acque di questo tipo, sarebbe stato davvero una ripercussione grave in un periodo più secco, come quello estivo» - prosegue il capo della Sovrintendenza, dopo aver chiarito che ciò che permette ai pali preistorici il loro mantenimento è un certo stato di umidità e di contatto con i sedimenti del lago - «ma deve essere altrettanto chiaro che non stiamo parlando di danni irreparabili. Faccio un esempio, nel caso delle Palafitte di Fiavé, tempo addietro, l’esposizione all’aria fu, per ripulirne la superficie dalle alghe, voluta e prolungata per circa 10 giorni. Ciò che va evitato, è un reiterarsi di queste variazioni». Difficile, del resto, anche pensare a una conservazione in altro luogo, per i circa 10mila pali di Ledro: «Sarebbe complesso estrarli tutti e trovar loro una sede differente» - chiarisce Marzatico - «in estrema sintesi, quindi, cerchiamo di non rendere frequenti questi abbassamenti del livello dell’acqua, e cerchiamo soprattutto – al di là dei pali in sé, che sono vitali a noi, per una visione conservatrice del bene archeologico, ma che, per esempio in Svizzera, hanno subito anche il taglio, in nome di cause scientifiche maggiori – di non andare a modificare o comprimere gli strati organici, che sono il vero grande tesoro archeologico».













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