L'INTERVISTA CLAUDIA MANGELI pittrice 

«Il colore è emozione, vibra L’arte è il fare, non il pensare» 

L’Arte al femminile. Con il suo studio d’arte a Bolognano di Arco aspira a fare della sua pittura la sua unica professione e ragione di vita «Negli anni ho notato più interesse da parte dei turisti che dei locali»


Katia Dell’eva


Alto garda. E’ una pittrice a tutti gli effetti, non solo per hobby, Claudia Mangeli, che, col suo studio d’arte a Bolognano, aspira a fare della sua arte la sua unica professione e ragione di vita. La incontriamo tra i suoi quadri, nel pieno della sua particolare tecnica di pittura astratta-gestuale – detenuta forse in esclusiva? - che custodisce gelosamente e che, a grandi linee, potrebbe essere riassunta come “al contrario, dal dettaglio all’insieme, da davanti a dietro. E proprio da questo “strano” sistema pittorico partiamo per una chiacchierata con lei.

Perché questa tecnica? Da cosa nasce?

Nasce dalla necessità di valorizzare la stratificazione e il processo. Per me l’arte è il fare, non il pensare, e tutto, sul quadro, deve essere leggibile. Lo spunto parte da una cosa qualsiasi della vita ed è, quasi sempre, uno spunto cromatico, di accostamento di colori. Il colore, infatti, è emozione, vibra, parla senza bisogno che io, intesa come artista, dia spiegazioni a chi osserva. Il processo poi comporta passaggi, tempo, ma anche errori: reputo fondamentale rispettare lo sbaglio, farlo sedimentare, accoglierlo come accezione di libertà da uno schema, rielaborarlo.

La Sua arte, insomma, è concreta, è azione.

Esatto. E’ mettere e togliere, e in questo senso è “fare femminile”.

Interessante accezione. In cosa, oltre questo, essere donna è vantaggioso o svantaggioso nella pittura?

Premetto che quando dipingo non penso al mio essere donna o madre, ma sono io in quanto io, senza costrizioni.

Detto questo, penso che l’ottica femminile si riveda nella valorizzazione delle sensazioni: tutto parte dal colore, come dicevo, ma un colore sempre associato a un’emozione o a un piacere. La donna ha più sfumature, in questa direzione. Il lato negativo, invece, è la difficoltà a trovare spazio, con questo bagaglio di sensibilità: le donne che sfondano e raggiungono i livelli alti, nell’arte, sono donne dall’atteggiamento maschile. E’ un mondo, sia quello dei galleristi e delle esposizioni, che quello del mercato, che è ancora popolato soprattutto da uomini.

E Lei saprebbe essere “maschile”?

A tempo debito, credo di sì. Ma la mia arte ha ancora bisogno di processare, non è completa, e sarebbe assurdo fare un passo e non saperlo sostenere. Per ora sono grata delle occasioni che ho avuto: appena uscita dall’Accademia ho subito avuto modo di esporre, grazie a contatti precedenti, costruiti quando facevo corsi amatoriali, con Renato Ischia e l’associazione Arti Visive. A seguire, grazie all’assessore Serena Guirdani, ho esposto a Villa Lagarina; grazie agli Amici dell’Arte ho mostrato i miei lavori in Galleria Craffonara; e grazie a Ginetta Santoni e all’associazione AnDROmeda ho collaborato ad alcune mostre. Reputo fondamentale questa rete di realtà territoriali.

Una rete attiva, che fa dell’Alto Garda un luogo d’arte, a discapito dei pregiudizi. Ma i fruitori, ci sono?

Quelli, purtroppo, scarseggiano. Negli anni ho sempre notato più interesse da parte dei turisti, che dei locali. Però l’interesse per l’arte non manca e, fattore fondamentale, non manca la vita attorno ad essa. Ci sono anche alcuni grandi collezionisti, sul territorio, per esempio, nell’ombra, ma ci sono.













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