Le grandi firme e il loro 11 ideale / Roberto Beccantini


di Carlo Martinelli


Terzo appuntamento con le formazioni ideali delle grandi firme del giornalismo e della scrittura sportiva in Italia. Tocca a Roberto Beccantini, il popolare “Beck”. Nel suo undici vive l’omaggio a chi della scrittura di qualità attorno al calcio ha fatto missione e ragione. Così.

1. Vladimiro Caminiti. “Sentiva il ruolo del portiere come un endecasillabo. Poeta dell’aggettivo, si tuffava su qualsiasi argomento e usciva sempre ai piedi della mediocrità, l’avversario che più detestava. Era grande perché folle, folle perché grande. Ai tempi di «Tuttosport» firmò una mia pagina di interviste ai giocatori al mare con «a cura di Pietro Beccantini». Come se, per respingere un cross, invece che la palla avesse sgonfiato un sogno”.

2. Luciano Bianciardi. “Fascia destra, lui che era un anarchico, un romantico, uno scettico. La mia mossa a sorpresa. Da Grosseto a Garibaldi, da Milano al fuorigioco (che gli stava cordialmente antipatico, «come tutte le regole che limitano la libertà di movimento e di parcheggio»). La vita agra e le risposte ai lettori del «Guerino». Aborriva i professionisti dell’anti-conformismo.  Censore spietato delle ali che si credono Garrincha incompresi”.

3. Gianni Mura. “Fluidificante ad honorem, visto il repertorio che sfoggiava. Nello sport e nella musica, con il ciclismo del Tour e le agonie di Marco Pantani nel cuore. In carriera, ha saputo onorare e ricoprire molti ruoli. Un jolly dal talento smisurato e riflessivo. Custode del commissario Maigret e dei suoi scorci parigini, place des Vosges su tutti, amante della buona cucina e della bella scrittura. Cacciava e trattava i puntini di sospensione alla stregua di biechi simulatori”.   

4. Nick Hornby. “Gli siamo debitori, non tanto della scoperta di un nuovo «mondo», quanto di un nuovo modo di considerare i tifosi. Il suo «Febbre a 90°» costituisce una pietra miliare. Soprattutto per chi, come lo scrivente, ne accompagnò la trama da patito del Liverpool. Pure io ero davanti alla tv, quel giorno, come Hornby e l’amico. Solo che loro erano dell’Arsenal. E al gol di Michael Thomas ebbero un’erezione; io, banalmente, una reazione”.

5. Giuseppe Pistilli. “Molisano di prosa rotonda, graffiante, erudita. Detestava «centrale»: preferiva stopper. Eclettico in copertura, pronto a sganciarsi. Nei secoli fedele al «Corriere dello Sport-Stadio», inviato o redattore a seconda delle esigenze spicciole. Sapeva adattarsi, sapeva soffrire: e non solo per metafora. Quanti stadi aperti, con Pist. E le telefonate, piccole lezioni. Se azzeccavo un pronostico, e mendicavo coccole, mi fulminava così: Ti ho detto bravo, non ti basta? Vuoi la ola?”.

6. Gianfranco Civolani. “Ammesso che possa considerarmi suo allievo, fu il mio maestro, a Bologna. Mi spalancò «Tuttosport», battitore libero nell’accezione moderna del termine. Alla Franz Beckenbauer, tanto per intenderci. E’ stato giornalista, scrittore, dirigente, direttore di teatro, perfino politico. E’ stato tutto, Civ. Mai un passo indietro, che ricordi. E alla tivù, nel parlare del Bologna o di Bologna, sempre in pressione. Rifuggiva dalla banalità del buonismo. E difesa in linea, sì: a patto che non fosse il coro”.

7. Pier Paolo Pasolini. “I suo scritti corsari erano dribbling; i suoi ragazzi di vita, la vita che ha voluto, fra lucciole e borgate. Amava il calcio, lo cercava e lo giocava spesso. Nome in codice, «Stukas». Coniò una frase, «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», straordinaria come il gol di Diego Maradona agli inglesi; quello da area ad area. La citazione di scorta che porto sempre con me”.

8. Eduardo Galeano. “La regia è una vocazione, non solo un’esigenza. Da Obdulio Varela alla sua proiezione letteraria. Intervistai Galeano a Piacenza, dopo averne divorato i libri e saccheggiato le definizioni: così secche, così profonde. Garra charrua, trattandosi di un uruguagio. Piazzato lì, in mezzo alla miseria che scorre, mentre tutti, attorno, ringhiano contro tutti. Le pulsioni del pallone gli sono servite per raccontare quel Sud America che i «nordisti» considerano periferia dell’impero”.   

9. Gianni Brera. “Centravanti di sfondamento, in tutti i sensi. Non era un ruolo, era una somma. L’Alfredo Di Stefano della Lettera 22. A leggerlo da ragazzi, si imparava: a rileggerlo, oggi, si capisce perché. Ha inventato un genere, un vocabolario. Un giorno, mi chiese informazioni su una squadra argentina. Onorato, gliele fornii. Un mese dopo, mi arriva un pacco. Bottiglie di vino dell’Oltrepò pavese. Il suo grazie”.

10. Omar Sivori. “Avevo sette anni e mezzo, arrivò e mi rapì. I calzettoni giù, il tunnel su, quella foresta di capelli che nascondeva una biblioteca di romanzi salgariani. L’Arthur Rimbaud della Juventus. Uno che tutti aspettavano al varco: per adorarlo, per giurargliela. Scrivemmo, insieme, la storia di Diego Maradona appena sbarcato a Napoli. Omar, papà del Pibe e nonno di Leo Messi. Uomini di sinistro, spacciatori di emozioni”.

11. John Fante. “Sulle corsie c’è bisogno di gente che morda il gesso della linea, che guardi in faccia il destino e il terzino. Di scrittori dal ritmo che sia (e dia) un timbro, anche. E allora, John Fante, radici abruzzesi. E’ il classico autore che, scoperto per caso, la curiosità conferma e schiera sempre per scelta. John  e il suo Arturo Bandini, primavere e confraternite: per Charles Bukowski «il narratore più maledetto d’America». Chieda alla polvere, chi non si fida”.

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Roberto Beccantini è nato a Bologna il 20 dicembre 1950. Giornalista professionista dal 1972, primi passi a Bologna, prime righe sul baseball. Poi dieci anni a Torino, nella squadra di «Tuttosport», con la carica di capo-rubrìca del basket, per poi traslocare al calcio. Dal marzo 1981, a Milano, dieci anni alla «Gazzetta dello Sport», responsabile del calcio internazionale. Quindi inviato a «La Stampa» dal febbraio 1992 all’agosto 2010. Ha seguito nove Olimpiadi estive, nove Mondiali di calcio,  otto campionati d’Europa di calcio. È stato giurato italiano del «Pallone d’oro». E’ tornato alla «Gazzetta», come opinionista, dal gennaio 2012 al dicembre 2019. Collabora con il «Guerin Sportivo», «il Fatto quotidiano» e il sito di «Eurosport». Nel 2011 ha aperto un Blog/Clinica: beckisback punto it. Juventino dai tempi di Omar Sivori, è sposato con Liliana, interista, e vive a Milano. Ha scritto «Juve ti amo lo stesso» (Mondadori), «Quei derby che una Signora non dimentica» (Priuli & Verlucca) e, con Riccardo Gambelli, «C’era una volta Camin» (Bradipolibri).













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