La rivoluzione di Cruyff



Johan Cruyff se ne è andato il 26 marzo di quest’anno. Aveva 68 anni, lascia un marchio indelebile nella storia del calcio. Pochi giorni prima di morire, a Barcellona - la città che con Amsterdam ha diviso una carriera leggendaria, da calciatore prima, da allenatore poi - detta a Jaap de Groot, giornalista olandese che per mesi aveva lavorato con lui alla stesura dell’autobiografia, le trentuno righe della prefazione, siglate: “Johan Cruyff, marzo 2016”. Una sorta di testamento, a  precedere le 230 pagine di un libro appena tradotto  in Italia. La mia rivoluzione. L’autobiografia è pubblicato da Bompiani ed è lettura obbligatoria (la prefazione è di Federico Buffa e Carlo PIzzigoni) per chi voglia ancora meglio comprendere cosa abbia significato il calcio che il numero 14 arancione ha portato in giro per il mondo. E in quelle righe iniziali  c’è tutta la potenza di uncruyff uomo che la rivoluzione sul campo (e in panchina) l’ha fatta per davvero. “Non ho titoli di studio - si legge - e tutto ciò che so l’ho appreso dall’esperienza. Dopo la perdita di mio padre all’età di 12 anni, la mia vita è stata definita dall’Ajax. Anzitutto dal mio secondo padre, Henk, che era l’addetto alla manutenzione dei campi, e poi dei miei allenatori Jany van der Veen e Rinus Michels. Grazie all’Ajax, non solo ho imparato a giocare meglio a calcio, ma anche a stare al mondo... Come giocatore o come allenatore non sono in grado di fare qualcosa a un livello basso. Riesco a guardare in un’unica direzione: verso l’alto, al meglio possibile. Questo, alla fine, è il motivo per cui ho dovuto fermarmi. Non ero più nelle condizioni fisiche necessarie per essere al top. Ma poiché avevo ancora qualcosa da dare, ho iniziato a fare l’allenatore. Ho sempre vissuto con l’obiettivo di migliorare, me stesso e gli altri. E ho perseguito questo mio impegno in ogni mia azione.” Libro emozionante e vero, con la chicca. L’undici ideale di tutti i tempi, secondo Cruyff. Ovvero: Yashin, Roberto Carlos, Beckenbauer, Guardiola, Krol, Charlton, Di Stefano, Garrincha, Maradona, Pelé, Keizer. Una mancanza c’è, ovvia. Johan Cruyff. Se non il più grande di tutti, molto vicino ad esserlo.













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