crisi idrica

Siccità: la catastrofe è qui ma mancano le contromisure

Il piano di tutela delle acque approvato dalla Provincia tratteggia un quadro tragico ma non offre soluzioni concrete 


Luca Marsilli


ROVERETO. L'aumento delle temperature per i prossimi decenni in Trentino è certo e ineluttabile; l'andamento delle precipitazioni risulta oggi meno certo nella quantità (ci sono previsori che le danno mediamente in aumento, altri che le prevedono in calo) ma già definito nelle modalità: si va verso una maggiore stagionalizzazione delle precipitazioni (che si concentreranno di più nel periodo invernale, con estati tendenzialmente siccitose) e verso fenomeni esasperati: la pioggia si concentrerà sempre più in periodi brevi, quando non in eventi violenti. A determinare la media sarà quindi un'alternarsi di alluvioni e siccità.

Cosa questa resa ancora più evidente dal fatto che le precipitazioni invernali saranno sempre più a carattere di pioggia, con la neve solo a quote molto alte. Quindi mancanza di accumuli e nessun effetto di rallentamento nello scorrimento delle acque: tanta pioggia cade, tanta acqua arriva più o meno immediatamente in valle.L'analisi non è di Nostradamus, ma degli esperti che hanno elaborato per la Provincia il Piano di Tutela delle Acque 2022-2027. Un lavoro poderoso che analizza lo stato e le prospettive di tutte le acque del Trentino.

E lo fa in relazione ai molti interessi - economici, paesaggistici, ecologici, sociali - che all'acqua sono legati. Appena approvato, ha inserito tra le varianti determinanti per i prossimi anni gli effetti sul clima locale del riscaldamento globale. E il quadro è quasi apocalittico. Perché l'acqua sarà o poca o troppa a seconda dei momenti, e in entrambi i casi con effetti molto negativi. La drastica riduzione dell'innevamento e l'innalzamento medio dello zero termico, da una parte agevolerà frane e smottamenti in quota (per lo scioglimento del permafrost alle quote un tempo occupate dai ghiacciai) e dall'altra vedrà più in basso fenomeni analoghi, con valanghe di fango e ancora smottamenti, provocati dall'arrivo di ondate di piena dall'alto su un sistema idrogeologico definito nei millenni da tutt'altre condizioni climatiche.

Sarà il ciclo dell'acqua, poi, a patire gli effetti più drastici. Senza i rallentamenti della neve e il graduale rilascio del disgelo, i sistemi sotterranei (falde acquifere) non si ricaricheranno con la stessa efficacia di sempre. Quindi molte sorgenti perderanno vigore o spariranno del tutto. Lo stesso accadrà ai laghi e alle aree umide in quota, destinati ugualmente a sparire. L'idroelettrico vivrà stagioni produttive molto più brevi e non prevedibili con sicurezza. L'intero reticolo di rii, torrenti e fiumi subirà un impatto drastico perché a piene disastrose seguiranno periodi di magra straordinariamente lunghi e severi, con decadimento della qualità degli ambienti acquatici e perdita di biodiversità. Quindi i laghi spariranno, i torrenti diventeranno canali maleodoranti, le sorgenti si seccheranno. Mancano le trombe del giudizio, ma potranno essere utilmente sostituite dal rombo delle frane.

E allora? Allora, niente. Il piano di tutela delle acque tratteggia questo quadro da day after ma lì si ferma. Serviranno nuovi modelli di gestione, scrivono gli esperti, sia nell'ottimizzare lo sfruttamento della acqua che rimane che nel contemperare le esigenze che se la contenderanno: usi civili, irrigazione, idroelettrico, turismo. Un accenno alla necessità di incrementare ulteriormente le forme di irrigazione meno dispendiose (a goccia) e di lavorare sulle reti irrigue connettendole tra loro, ma nulla di più. Su tutto il resto gli esperti raccomandano di vigilare e studiare, ovvero verificare che impatto avrà in effetti su falde, ambienti acquatici e paesaggio il nuovo regime delle precipitazioni. Un po' come un medico che ti diagnostica una infezione mortale ma poi ti dice di tenere misurata la febbre per vedere come va. Forse servirebbero interventi strutturali epocali (su bacini di accumulo, reti di distribuzione dell'acqua, produzioni agricole), ma costano uno sproposito. E la coincidenza del Pnrr, che offriva una volta nella vita risorse straordinarie e irripetibili per investimenti di prospettiva, passerà senza che in questo settore si sia investito un euro.









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