la storia

Federica massaggia i cavalli. Bodywork, tra cura e coccole

Federica Samaretz: "A 4 anni sono salita su un pony e ho capito che questi animali sarebbero stati la mia vita"


Daniele Peretti


LEVICO. Quando è un pony a segnare la strada del tuo futuro. È quanto è successo a Federica Samaretz che a 4 anni va come molti bambini a vedere uno spettacolo circense che, una volta terminato lo spettacolo, offre ai più piccoli la possibilità di fare un giro in sella ad un pony. «Lo volevo portare via con me e non è stato facile riportarmi a casa. Da allora non ho fatto altro che chiedere ai miei genitori di farmi vivere insieme ai cavalli. Ho frequentato scuole di equitazione e specificatamente di equitazione di campagna fino a quando prima sono diventata una massaggiatrice dei cavalli e poi ne ho avuto uno tutto mio».

Massaggiatrice di cavalli?

«Sì, ma è meglio cominciare dall’inizio. Dopo il diploma ho frequentato un corso diventando assistente tecnico veterinario. Per capirci: un’infermiera veterinaria. Poi ho trascorso un anno a Udine in un centro di riabilitazione per cavalli agonisti che venivano recuperati dopo gli infortuni e così mi sono fatta un’esperienza da fisiatra. Ho imparato a fare i massaggi non solo riabilitativi, ma anche pre gara come fa ogni atleta, nonché l’uso dei cerotti taping che sono identici a quelli che si applicano agli umani. Adesso sono a Parma presso una Scuola di Leggerezza dove si migliorano le prestazioni fisico-ginniche dei cavalli con ginnastica specifica e massaggi».

E il suo primo cavallo?

«Primo e unico, è diventato anche un mio assistente e la mia cavia perché è su di lui che sperimento le tecniche di preparazione fisica. L’ho acquistato come mai si dovrebbe fare, cioè su Subito.it Per l’equitazione da campagna il purosangue Arabo è l’ideale, solo che le cose non sono andate come pensavo».

Cioè?

«In realtà Dalì - l’ho chiamato come il pittore - aveva dei problemi caratteriali ed in più soffriva d’asma: non era per nulla adatto alla disciplina per la quale l’avevo preso. Così l’ho dovuto rieducare e passare all’equitazione classica e da allora siamo inseparabili».

In che senso equitazione classica?

«Era praticata fino alla fine dell’Ottocento ed era la disciplina che preparava i cavalli da guerra che dovevano essere forti, resistenti e sani per durare il più a lungo possibile e recuperare in fretta grazie al fisico nel caso venissero feriti. Dalì è stato la mia chiave di volta perché quello che ho fatto con lui è diventato parte integrante della mia professione di bodywork».

Come si approccia a un cavallo che non conosce, ma che avrà in cura?

«Lo osservo e cerco di capire i segnali che mi manda. Se non sono segnali pacificanti non mi avvicino. Alcuni dei segnali pacificanti sono l’abbassare la testa, masticare, sbattere le palpebre o guardarmi con le orecchie rivolte verso di me».

Se c’è la possibilità di avvicinarsi cosa fa?

«I cavalli si studiano avvicinando le narici, ovviamente con un umano non è possibile ed allora si avvicinano le nocchie, così possono analizzarci attraverso gli odori, in pratica è il rituale del saluto».

Come si conquista la fiducia di un cavallo?

«Con l’ascolto, poi rispettando la loro gerarchia che è orizzontale e non verticale come quella dei cani ad esempio. Hanno forte il senso della difesa e quindi tutti hanno un ruolo nel branco per creare un sistema di reciproca difesa quindi anche noi finiremo per averne uno. Poi cercano la collaborazione e non l’ubbidienza agli ordini».

Una definizione sintetica del bodywork?

«Si lavora sul corpo del cavallo per arrivare ad uno status ottimale sia fisico che psichico. Coi massaggi si può combattere lo stress, ma anche l’ansia o l’emotività. Si possono utilizzare particolari fasciature, si fanno esercizi di ginnastica equestre e si applicano i taping esattamente come si fa con le persone».

Di cosa ha paura un cavallo?

«Si dice che hanno paura di tutto ciò che si muove e di tutto quello che sta fermo. Hanno ancora la convinzione ancestrale di essere delle prede, in più ci vedono male da vicino e molto bene da lontano. Quindi quello che per noi è un semplice oggetto, loro lo possono interpretare come un rischio».

Un cavallo dimostra affetto?

«Non lo farà mai con la vivacità di un cane perché sono animali silenziosi. Sono loro che si avvicinano permettendoti di condividere il loro spazio del quale sono gelosissimi. La dimostrano standoti vicini quando sono al pascolo libero».

Ci sarà un dopo Parma?

«Certo, già progettato. Apriremo a Padova una scuola di equitazione dalla parte del cavallo e quindi avrà al centro il suo benessere. Ci sarà spazio per l’educazione, ma facendolo stare bene rispettando le sue esigenze sia fisiche che caratteriali».

Mantenere un cavallo costa. Affidarlo a lei è un surplus che non tutti possono permettersi.

«Si parte dal presupposto che chi possiede un cavallo ha una discreta capacità economica e le mie tariffe sono accessibili a tutti i proprietari. Certo è un qualcosa in più, ma necessario. Talvolta è una coccola, ma chi possiede un animale gli regala sempre un qualcosa in più per farlo stare meglio».

 













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