l'artista

«Con la malattia di mia figlia ho capito che volevo dipingere»

Ivana Angeli ha cominciato con la pittura su porcellana per raccogliere fondi, ma non ha più smesso


Daniele Peretti


TRENTO. È un intreccio strano quanto personale, quello che ha portato Ivana Angeli ad appassionarsi alla pittura della porcellana.

«Nel 2005 mia figlia ha avuto l’esordio del diabete giovanile e nel 2006 mi hanno invitata ad un corso per imparare a dipingere la porcellana per realizzare gli oggetti che sarebbero stati venduti a Natale per finanziare l’associazione Diabete Giovanile di Trento» racconta.

Come si è accorta della malattia di sua figlia?

Aveva sette anni, era settembre e continuava a bere tantissimo. Era stata un’estate molto calda, ma tutta quella sete non era giustificata; in più era sempre stanca, troppo per una bambina della sua età. L’ho portata dal pediatra che ci ha prescritto delle analisi, ma nei giorni successivi abbiamo sentito l’odore dell’acetone nel suo alito. L’abbiamo riportata dal pediatra, questa volta analisi più mirate che hanno portato alla diagnosi di diabete giovanile.

Un brutto colpo.

È un momento molto delicato perché dalla reazione dei genitori dipende l’atteggiamento del bimbo nei confronti della malattia. Noi siamo riusciti a trasmettere tranquillità ed in questo il supporto dell’associazione è stato fondamentale, ma lo è stato anche più avanti perché con l’organizzazione dei campi estivi permettono ai ragazzi di divertirsi rimanendo sotto controllo; i bambini si conoscono tra loro e si sentono meno soli. Gli ultimi dati parlano di 200 casi di diabete infantile in Trentino.

Facciamo un salto all’indietro e torniamo nel 2006.

Parlando con i volontari dell’associazione racconto della mia passione per tutto quello che è arte, per tutto quello che nasce dalla manipolazione dei materiali. Passioni fino a quel momento non praticate, ma che riempivano il tempo libero che mi lasciava il mio essere ragioniera libera professionista. Mi hanno proposto l’iscrizione ad un corso di 5 lezioni di pittura su ceramica e mi sono iscritta. Ero entusiasta.

Com’è andata?

Alla seconda lezione ho acquistato tutta l’attrezzatura necessaria e mi sono gettata a capofitto non solo nella produzione degli oggetti per il mercatino di autofinanziamento dell’associazione, ma è diventata la mia più grande passione.

La pittura della ceramica è ancora attuale?

Stiamo parlando di un’antichissima arte classica che sta a noi attualizzare rendendola moderna utilizzando l’oro, i lustri oppure i rilievi, ma è sempre più difficile.

Perché?

Dopo che a Trento ha chiuso la ceramista Baldo di Corso 3 Novembre, la Ceramica Cicuttin ed il Colorificio Pasquali, non ci sono più negozi che vendono le materie prime, ma nemmeno forni per cuocere. Per le prime bisogna andare a Brescia, per le seconde si va da chi ha un forno – io fortunatamente ne ho uno personale – che si mette a disposizione.

Mancando una vetrina tutto diventa più difficile.

Rimangono le mostre, ma anche le gallerie d’arte non sono molto sensibili alla ceramica, che servono per far scoprire specialmente ai giovani, la nostra produzione.

Per arrivare agli attuali livelli, ha dovuto studiare molto?

Ho fatto laboratori e stage anche con artisti internazionali. Ma non mi fermo nemmeno ora, è un continuo conoscere tecniche e prodotti nuovi.

Come si approccia ad una pittura?

Si parte dalla base di un oggetto in ceramica che non necessariamente dev’essere un vaso, di colore base bianco avorio. Lo osservo per capire cosa richiama arrivando così all’ispirazione ed a quel punto si crea il disegno che può essere completato con oro da 22 a 32 carati, con i lustri che danno un effetto specchio oppure con i rilievi.

La soddisfazione maggiore?

Quando a lavoro finito si capisce di essere riusciti a realizzare il disegno che avevi in mente e magari è anche più bello.

Parliamo di vendite?

Non dipingo per vendere. O meglio se so che sono opere destinate ad essere cedute, non mi affeziono e le cedo senza problemi. Nel caso contrario me ne innamoro e non le mollo. Pensi che l’anno scorso ad una mostra a Pergine dieci persone diverse mi hanno chiesto un vaso che a me piaceva molto, non ho nemmeno trattato il prezzo: me lo sono tenuto.

Ma in casa ci stanno tutte le sue ceramiche?

È il cruccio di mio marito che mi chiede cosa me ne faccio. Ne ho armadi pieni, ma le sento mie. Ho un rapporto troppo particolare per privarmene.

Un messaggio per i giovani?

Venite alle mostre e non perdete l’occasione per conoscere le ceramiche. D’accordo che siete orientati su un arredamento minimalista in tutto molto simile a partire dai colori, ma anche le ceramiche lo possono essere. Penso ad esempio agli effetti che si possono avere colorando piatti smaltati in nero. Non siamo di fronte ad un’arte classica patrimonio delle nostre nonne, ma può essere anche un’interpretazione in chiave moderna.

In questa prospettiva un progetto?

Mi piace pensare ad una collaborazione tra l’Istituto d’Arte ed il Comune per creare uno spazio creativo aperto, ma dotato di forno – per finire un lavoro ci possono volere anche sette cotture – e dove si possano trovare anche le materie prime dove organizzare mostre e laboratori aperti. Può essere un punto caratterizzante della parte più antica del centro storico e potrebbe diventare anche uno sbocco professionale per qualche studente che scopra di avere questa passione per una forma artistica che purtroppo è in via di estinzione.

 













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