Calcio Promozione

Ferrarese, che tripletta a 37 anni: «È merito di Cagni e Prandelli»

La parabola del centrocampista del Trento, dal San Paolo di Napoli al Briamasco con poche centinaia di spettatori



TRENTO. Il pallone della tripletta al Castelsangiorgio è ancora nel magazzino del “Briamasco”. Claudio Ferrarese se la ride. «Il direttore e il magazziniere non me l’hanno lasciato portare a casa – racconta il capitano gialloblù – Pazienza: sarà per la prossima volta, sperando che ci sia un’altra occasione».

Trentasette anni, una carriera tra i professionisti che definire lusinghiera è puro eufemismo, l’esordio in serie A, la militanza in piazze del calibro di Verona, Napoli, Piacenza, Terni, Salerno Cagliari e Torino prima delle esperienze in Lega Pro e Serie D e adesso un grande sogno, forse l’ultimo della sua carriera di giocatore. Portare il Trento in Serie D nel giro di un paio di stagioni.

«Un passo per volta – racconta “Ferro”, che del Trento è capitano e leader indiscusso – prima di tutto vediamo di vincere il campionato di Promozione. Non nego che l'obiettivo finale sia quello di tornare quanto prima in Serie D, ma ormai sono vecchio e so benissimo che nel calcio è meglio non mettere il carro davanti ai buoi».

Il suo accordo con il Trento è biennale. Dunque ci sarà anche l’anno venturo.

«Questo è quanto ci siamo detti con il presidente Giacca la scorsa estate. Per me Trento è una piazza straordinaria nonostante la categoria: adesso, rispetto alla mia precedente esperienza, ci sono anche una società seria e un progetto ambizioso. Cercherò di farne parte il più a lungo possibile, ma i risultati sono fondamentali».

Lei ha giocato al San Paolo gremito in ogni ordine di posti: cosa prova oggi a giocare davanti a poche centinaia di spettatori?

«Non ci penso, anche se ricordo benissimo quel Napoli – Sampdoria con 81mila persone sugli spalti. Quando vado in campo, sinceramente, ho altri pensieri. Non nego che sarebbe bello giocare in un “Briamasco” gremito, ma durante la partita sono concentrato su altro. E penso si noti: sono un grandissimo rompiballe, ma è il mio carattere. Quando non sentirò più il veleno dentro di me sarà il momento di smettere».

Ha qualche rimpianto oppure è pienamente soddisfatto della sua carriera?

«Qualcuno ce l’ho. Il più grande? Nel 2007 retrocessi con il Verona in serie C1 e decisi di restare anche l’anno successivo nonostante le tantissime offerte che arrivarono dalla B. E quando dico tantissime non mento. Avevo 29 anni, ero nel pieno della maturità agonistica e la scelta fu dettata dal cuore e non dalla testa. Con il senno di poi, visto come andarono le cose, avrei dovuto prendere un’altra decisione. A gennaio 2008 passai alla Cremonese con la quale, al termine del campionato 2009-2010, persi la finale playoff per la serie B contro il Cittadella e, di conseguenza, anche l’ultima opportunità di tornare nel torneo cadetto. Eh sì, perché quando si scende di categoria poi è difficile risalire».

L’allenatore più importante nel suo percorso calcistico?

«Sono due, ovvero Gigi Cagni e Cesare Prandelli. Cagni mi ha insegnato ad essere giocatore dentro e fuori dal campo e mi ha inculcato la cultura del lavoro, Prandelli invece è stato uno straordinario maestro a livello tecnico e tattico. Sono sincero: se sono diventato il calciatore che sono gran parte del merito è suo». (d.l.)













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