Covid: plasma convalescente utile in pazienti gravi Studio, può ridurre rischio di morte se dato precocemente



ROMA - Nelle prime fasi della pandemia, l'uso tempestivo del plasma donato da persone guarite ha aumentato le probabilità di sopravvivenza dei pazienti con forme particolarmente gravi di Covid-19. È il risultato che emerge da uno studio condotto in diversi ospedali belgi e pubblicato sul New England Journal of Medicine. A oltre tre anni dall'inizio della pandemia, il tema dell'efficacia del plasma convalescente (o iperimmune) continua a essere oggetto di ricerca scientifica. In nuovo studio ha coinvolto 475 pazienti con Covid-19 che avevano sviluppato la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) e che avevano bisogno dell'assistenza respiratoria in terapia intensiva. La ricerca è stata condotta da settembre 2020 e fino al giugno 2022. I ricercatori hanno valutato l'efficacia dell'aggiunta del trattamento con plasma convalescente alla terapia standard, che, a seconda dei casi, era composta da cortisonici (specie desametasone), farmaci biologici antinfiammatori (come tocilizumab) e, in un piccolo numero di pazienti, dall'antibiotico azitromicina, dall'antivirale remdesevir e perfino dall'idrossicolorochina. Nel complesso, dopo 28 giorni, era riuscito a sopravvivere il 64,6% dei pazienti trattati con il plasma convalescente rispetto al 55% di quelli che aveva ricevuto solo il trattamento standard. A trarre beneficio erano soprattutto quelli che venivano trattati entro 48 ore dall'inizio della ventilazione meccanica. Per i ricercatori, lo studio dimostra che la somministrazione precoce del plasma convalescente può aiutare il recupero dei pazienti con ARDS, probabilmente riducendo la carica virale e, con essa, i processi infiammatori. Tuttavia, non è chiaro se questi risultati siano ancora attuali: i tre quarti dei pazienti coinvolti nello studio sono stati arruolati entro la primavera del 2021, quando le terapie disponibili erano ancora molto scarse (nessuno dei pazienti ha, per esempio, ricevuto anticorpi monoclonali) e in cui la gran parte dei malati non aveva ancora nessuna immunità al virus SarsCoV2.









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