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La ricerca Unitn: «Giudizi degli insegnanti più alti per le ragazze per evitare stereotipi negativi»

Lo afferma un’indagine del del dipartimento di Sociologia basata sui risultati di circa 40.000 studenti degli ultimi anni di superiori



TRENTO. Da un lato i test, come quelli Invalsi, e dall'altro il giudizio degli insegnanti, che spesso non coincidono. Anzi: i condizionamenti sociali sembrano avere la meglio nella valutazione delle competenze degli studenti e il risultato gioca a favore delle ragazze: lo indica la ricerca italiana basata sui risultati di circa 40.000 studenti degli ultimi anni delle scuole superiori, pubblicata sul British Journal of Sociology of Education e condotta da Ilaria Lievore e Moris Triventi, entrambi del dipartimento di Sociologia dell'Università di Trento.

«I risultati della ricerca indicano che, quando vengono messi a confronto gli studenti che hanno competenze identiche, gli insegnanti tendono a dare voti più alti alle ragazze», scrivono i ricercatori.

La ricerca ha considerato, in particolare, i risultati ottenuti dagli studenti in matematica e in italiano ed è emerso che nei test Invalsi le ragazze superano i ragazzi nell'italiano e che i giudizi degli insegnanti confermano e acuiscono questo divario; non altrettanto avviene in matematica, dove sono i ragazzi ad avere i risultati migliori nei test Invalsi, ma dagli insegnanti non ricevono una valutazione altrettanto positiva.

Ne deriva che sono le ragazze ad avere complessivamente i voti migliori, sia in italiano che in matematica. Sul fenomeno, osservano i ricercatori, non sembrano influire condizioni come il tipo di composizione della classe, le caratteristiche degli insegnanti o il tipo di scuola.

Una possibile spiegazione potrebbe invece essere trovata nell'intenzione degli insegnanti di evitare possibili discriminazioni nei confronti delle ragazze, temendo di cadere in stereotipi negativi che vedrebbero le donne meno portate per le materie scientifiche.

Sulle minore competenze in matematica delle ragazze emerse durante lo studio anche Lievore precisa: «È un fenomeno che non riguarda solo l'Italia e che si sta indagando, ma non va generalizzato. Recenti studi suggeriscono, infatti, che a fare la differenza non sia tanto una ‘naturale propensione di genere’, quanto il modello educativo e il modo in cui le materie vengono insegnate».













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