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Dai Gas alla spesa online: l’università di Trento studia i cambiamenti nel “carrello”

Lo studio analizza come piattaforme di e-commerce e nuove pratiche favoriscono l’accesso al cibo sostenibile e riconnettono produzione, cliente e territorio. Un modello di approvvigionamento presente a macchia di leopardo prima della pandemia, che si è diffuso con l’esperienza del lockdown



TRENTO. Per tre anni un team del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento ha mappato la realtà italiana delle piattaforme di e-commerce di cibo per capirne le dinamiche, ha approfondito le pratiche quotidiane di chi fa la spesa attraverso canali alternativi alla grande distribuzione (Gdo), come i gruppi di acquisto solidale (Gas), ha analizzato il profilo di consumatori e consumatrici digitali.

E ora che il progetto si avvia alla conclusione discuterà i principali risultati dello studio in un’anteprima nazionale. L’incontro sarà sabato 22 maggio, dalle 10.30 alle 13, sul tema “Le pratiche alternative di approvvigionamento alimentare: dai Gas all'e-commerce di prossimità. Un confronto a partire dai risultati del progetto europeo Plateforms”.

 Il progetto europeo Plateforms, sostenuto dal Ministero italiano dell’università e della ricerca e dal programma europeo Horizon 2020, ha coinvolto cinque università europee: Oslo Metropolitan University (Norvegia, che ha fatto da leader nel progetto); University College of Cork (Irlanda); University of Gothenburg (Svezia); Humbold University Berlin (Germania) e Università di Trento (Italia).

Francesca Forno, professoressa del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento, che ha diretto il progetto per l’Italia, commenta: «Tecnologie quali internet e le app possono rendere più praticabili forme di approvvigionamento al di fuori della grande distribuzione. Tuttavia, perché esse diventino una reale alternativa sostenibile, è necessario che modalità nuove di produzione, scambio e consumo di cibo si sviluppino e sedimentino nelle relazioni sociali e nelle pratiche quotidiane. Inoltre, anche la spesa “offline” può promuovere alternative sostenibili, come nel caso dei Gas o dei negozi biologici».

Il progetto si è articolato in tre fasi. Innanzitutto, è stata mappata la realtà finora poco studiata delle piattaforme di e-commerce di cibo. La seconda fase ha guardato alle pratiche quotidiane di spesa attraverso canali alternativi alla Gdo con interviste in profondità. Infine, un questionario diretto a consumatori e consumatrici che utilizzano piattaforme digitali per crearne un profilo e individuare le principali dinamiche di uso e trasformazione nel tempo.

Alice Dal Gobbo, ricercatrice del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Ateneo di Trento, racconta: «Per raccogliere interviste e questionari abbiamo scelto Milano perché, tre anni fa, era uno dei pochi contesti italiani con un alto utilizzo di acquisto alimentare online. Poi è arrivata la pandemia, e durante il lockdown, le nuove modalità di approvvigionamento si sono diffuse».

Riprende: «L’avvento di Covid-19, a circa alla metà del progetto, pur presentando degli ostacoli allo svolgimento della ricerca, ha anche costituito un laboratorio naturale. L’esperienza del lockdown, infatti, ha costretto a cambiare radicalmente le abitudini e molte famiglie si sono avvicinate alla spesa online. Una parte delle interviste e il questionario hanno mirato anche a cogliere tali trasformazioni».

Francesca Forno anticipa alcune conclusioni: «Il progetto suggerisce che le innovazioni sociali e tecnologiche nel consumo alimentare favoriscono l’accesso al “cibo buono”: gustoso, nutriente, stagionale, biologico o naturale, rispettoso del lavoro e che favorisce una riconnessione tra consumatori, territorio e produttori.

Soprattutto nelle città dove l’approvvigionamento alimentare è dominato dalla Gdo, le innovazioni costituiscono “food hub” importanti per promuovere diete sostenibili e pratiche alimentari più attente».

Al tempo stesso avverte: «Rimangono delle sfide all’approvvigionamento alternativo. Sul piano pratico, non sempre i consumatori riescono a far coincidere i tempi e gli spazi della spesa in piattaforma con l’organizzazione della propria quotidianità. Inoltre, spesso rimane una pratica di nicchia e a cui si avvicinano maggiormente persone di classe media. Infine, le piattaforme di e-commerce non sono sempre accurate sul piano giuridico e dell’informazione al consumatore».













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