Dot a 9 anni con un retinoblastoma,'una storia a lieto fine'



(ANSA) - ROMA, 28 MAR - "Questa bambina ha un problema agli occhi", inizia così la storia di Dot, una piccola di 9 anni nata in un villaggio rurale del Sud Sudan e colpita da retinoblastoma, un tumore maligno della retina che ogni anno nel mondo colpisce 9mila bambini. È la madre ad accorgersi che qualcosa non va, l'occhio della figlia è molto gonfio e lo dice al marito David, che in quel momento si trova a Juba, la capitale, dove frequenta il secondo anno del corso universitario di agricoltura.
    "Gli anziani della nostra comunità dicevano che non era grave. Provarono alcuni rimedi erboristici, ma non migliorava. A quel punto ho detto loro di portarla qui in città dove c'è un centro oculistico che poteva aiutarci", racconta David a CBM Italia - organizzazione internazionale impegnata nella salute, l'educazione, il lavoro e i diritti delle persone con disabilità nel mondo e in Italia - che lavora attraverso partner locali nei Paesi in via di Sviluppo, come il BEC-Buluk Eye Centre in Sud Sudan e il Ruharo Mission Hospital in Uganda.
    Dopo aver viaggiato tutta la notte, Dot e David finalmente sono di nuovo insieme: "Una volta arrivata l'ho subito portata al BEC, l'unico centro oculistico che c'è qui, l'hanno visitata, e la diagnosi è stata: cancro all'occhio. I medici mi hanno detto che doveva essere operata al Ruharo, e così siamo partiti". Il Ruharo Mission Hospital, situato a Mbarara nella parte occidentale dell'Uganda, rappresenta un punto di riferimento per la cura del tumore dell'occhio in questa parte dell'Africa. David e Dot si mettono in viaggio percorrendo 900 km da Juba a Mbarara: "Dot è stata subito accolta dai medici che l'hanno visitata, operata e le hanno fatto la chemioterapia.
    Siamo stati lì da maggio a ottobre dello scorso anno, entrambi seguiti e aiutati ogni giorno ad affrontare questa difficile battaglia per la vita. E, la mia piccola, la sua battaglia l'ha vinta!". Come spesso accade in queste zone dell'Africa sub-sahariana, poiché la malattia non è riconosciuta e trattata per tempo, quando Dot è arrivata in ospedale il tumore era in uno stadio avanzato, questo le ha causato la perdita dell'occhio: "Avere un occhio di vetro non è un grosso problema, si può sopravvivere. I bambini riescono comunque a fare tante cose, anche prendere lo zaino e andare a scuola. L'unico problema è che lei è ancora piccola e ha bisogno di un ambiente bello e sicuro. Un ambiente in cui le persone conoscono queste disabilità, se io pensassi ora di riportarla al villaggio penso che la lascerebbero in disparte". Nonostante la malattia che l'ha colpita, Dot sta bene e la sua storia a lieto fine rappresenta una speranza per i tanti bambini affetti da retinoblastoma: "Avere un solo occhio non vuol dire essere finiti. La prossima volta che la vedrete, se ci riuscirò, sarà una bambina istruita. La porterò in una bella scuola, studierà, imparerà con bambini di differenti etnie".
    La storia di Dot è una delle tante che CBM Italia ha raccolto in Uganda sul tumore maligno oculare o retinoblastoma.
    Questo tipo di tumore, se non trattato tempestivamente, ha gravi conseguenze: dalla perdita della vista a quella dell'occhio, fino alla morte. Nei Paesi del Sud del mondo, povertà, mancanza di prevenzione, assenza di strutture e medici specializzati sono fattori che ostacolano la diagnosi precoce del retinoblastoma, contribuendo ad alimentare quel circolo vizioso che lega povertà e disabilità: basti pensare che la probabilità di sopravvivenza dei bambini alla malattia è del 65% nei Paesi a basso reddito, mentre sale al 96% nei Paesi ad alto reddito dove è possibile una diagnosi precoce. Per questo CBM dal 2006, porta avanti un importante programma di prevenzione e cura del retinoblastoma presso il Ruharo Mission Hospital che nel tempo ha permesso di aumentare la sopravvivenza dei bambini, insieme alla possibilità di una guarigione completa, conservando anche la vista. Grazie all'introduzione di una serie di trattamenti combinati (radioterapia, laser terapia, crioterapia, chemioterapia, rimozione chirurgica dell'occhio, utilizzo di protesi) e ad attività di sensibilizzazione sul territorio, oggi, il Ruharo si prende cura di tanti piccoli pazienti provenienti da vari Paesi africani. (ANSA).
   









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